L’euforia da derby vinto è francamente difficile da smaltire in tempi brevi, specie per come è maturata la vittoria e per i tanti significati che battere il Milan rappresenta, principio che vale in generale ma che assume probabilmente ancora più valore in questo particolare contesto storico, con le prerogative derivanti da un’estate che ha scaturito umori tra le tue tifoserie diametralmente opposti prima che il tavolo venisse ribaltato dal verdetto del campo, che, la storia anche recentissima insegna, alla fine è l’unica cosa che conta davvero, senza dare troppo peso alle varie sfumature di significato assunte da questa ormai famigerata frase… 

L’euforia da derby vinto, dicevamo, non va via subito, ma ormai va definitivamente accantonata perché questa sera l’Inter è attesa da un altro esame di altissimo livello, che se non è quello della definitiva maturità poco ci manca: si va infatti al San Paolo di Napoli, in casa della capolista del campionato. La formazione di Maurizio Sarri che in Serie A vola sulle ali di otto successi in otto partite e il suo tifo legittimamente sogna in grande, anche perché riuscire a battere anche i nerazzurri, al momento unica inseguitrice a contatto con la capolista essendo a soli due punti dal vertice, vorrebbe dire dare il là alla prima, vera fuga per il tricolore, pur trovandoci solo alla nona giornata. 

Insomma, di fronte alla nave comandata da Luciano Spalletti si sta per scagliare lo scoglio più grosso di questa prima parte di navigazione. Forse più avanti in tutto, la formazione partenopea, rispetto alla compagine nerazzurra: organico sostanzialmente immutato da anni che praticamente gioca a memoria (anche malgrado l’assenza possibile di uno dei cardini dell’attacco azzurro, Lorenzo Insigne, fermatosi martedì nel match di Champions League col Manchester City); un gioco che fa scintillare gli occhi di pubblico e addetti ai lavori; una capacità ormai ben nota di decidere da soli come e quando portare la partita a casa. 

La bilancia, quindi, pende nettamente a favore dei padroni di casa, che con l’Inter in campionato non perdono da ormai 20 anni; ma pensare che l’Inter arrivi alle pendici del Vesuvio con l’intenzione di recitare il ruolo della vittima sacrificale è probabilmente andare molto lontano dalla realtà. Perché l’Inter comunque ha le sue carte da giocarsi: non avrà un gioco sfavillante secondo gli esteti a tutti i costi, ma può sopperire con la solidità e la capacità di saper reagire ai (pochi) colpi subiti; lì davanti ha un elemento come Mauro Icardi che quando trova una serata di vena diventa devastante e che sarà ulteriormente galvanizzato dalla prestazione monstre di domenica sera, e che domani potrà duellare con un altro cecchino come Dries Mertens. Poi, c’è chi si diverte a mettere in evidenza una certa dose di fortuna di cui sin qui ha beneficiato Samir Handanovic, variabile che però non fa mai male e soprattutto non è certamente un crimine avere dalla propria parte. La cosa più importante, però, è che l’Inter arriverà al San Paolo, o si presuppone che lo faccia, con la consapevolezza che nulla ancora è stato fatto.

Gli ultimi risultati hanno inevitabilmente portato al risorgere della domanda fatidica: l’Inter può diventare una pretendente allo scudetto? In questi ultimi giorni più o meno tutti si sono pronunciati, chi a favore, chi contro quest’ipotesi. Discorsi che però lasciano inevitabilmente il tempo che trovano, e anzi potrebbero rivelarsi un vero e proprio boomerang, e i primi a esserne consci devono essere soprattutto i giocatori. Che non devono perdere di vista quello che è il reale obiettivo, ovvero il ritorno ai vertici e soprattutto in quella fatidica Champions che nuovi orizzonti può aprire alla realtà guidata dal gruppo Suning. Ciò che arriverà di più, ovviamente, sarà benvenuto e benedetto, ma gli ultimi anni hanno lasciato troppe bruciature da potersi permettere di poter andare troppo in là con la fantasia. 

Luciano Spalletti, nel corso della presentazione del match di ieri, al di là della citazione del monsignore come membro a pieno titolo dello staff che lavora dietro le quinte, ha fatto capire che il vento è favorevole e lo si vuole sfruttare pienamente, ma al tempo stesso è conscio che ogni settimana ci si deve reinventare, si deve essere pronti a cogliere il nuovo treno e quindi la tensione evolutiva di questa Inter deve essere sempre al massimo perché il cammino è ancora lungo e basta poco per ribaltare giudizi e commenti, tanto sulla squadra quanto sui singoli. Giusto quindi che quella fatidica parola citata in settimana da Massimo Moratti rimanga ancora nell’armadietto delle illusioni. Come è giusto esaltare e porre come esempio quello che è stato l’atteggiamento mentale della squadra dopo il secondo pareggio del Milan, la testimonianza perfetta di quella che è stata la svolta psicologica del gruppo, pronto a reagire sempre e a maggior ragione nel momento forse di difficoltà massima dell’intera serata. Quel bel segnale di ‘interismo’, insomma, che deve permeare la mente e il corpo di tutti in questa lunga cavalcata. 

Nessuna concessione ai voli pindarici e al ‘cuor leggero’, perché ormai non è più tempo per l’euforia da vittoria nel derby. Adesso è tempo per l’Inter di dimostrare che questo percorso è ormai ben instradato e che anche contro una formazione più quotata non c’è alcuna voglia di fare passi indietro. Il cammino è ancora lungo a prescindere da come andrà stasera, ma le premesse di una nuova alba dopo anni di buio sembrano finalmente esserci e il clima di scetticismo perseverante intorno alla squadra pare essere evaporato, come ha ribadito anche Borja Valero ieri.  Spetterà ora a lui e a tutto il gruppo evitare, ipse dixit, di aggiungere inutili pesi nei propri zaini. Per alleviare lo spirito e non indurci in eventuali tentazioni, poi, c’è sempre il Monsignore…
 

Sezione: Editoriale / Data: Sab 21 ottobre 2017 alle 00:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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