Dopo l'1-2 inflitto al Milan lo scorso lunedì, l'Inter campione d'Italia si presenta al lunch-match domenicale della 34esima giornata in forma smagliante. Con tanto di entusiasmo alle stelle (due per l'esattezza), la squadra di Simone Inzaghi ospita il Torino di Ivan Juric, arrivato a San Siro dopo due pari consecutivi e un decimo posto in classifica che conta quaranta punti di differenza rispetto alla capolista. È un caldissimo Meazza a fare da cornice al match che precede la grande festa dei milanesi, in trepidante attesa di scendere in piazza insieme al suo popolo per celebrare uno Scudetto mai così sentito. La festa, già iniziata con l'assaggio post-derby, è tutta da vivere e comincia con il 'pasillo de honor' con il quale la squadra ospite dei 'campeones' (come li ha definiti la Nord nella maxi-coreografia tricolore che ha tinto ulteriormente il già coloratissimo San Siro) ha accolto il gruppo di Inzaghi prima di scendere in campo per un match che non si sblocca, rimanendo inchiodato sullo 0-0 per cinquantasei minuti, nonostante le occasioni create da una e dall'altra parte. 

Fila liscio senza grandi interruzioni il primo tempo, gestito da una buona Ferrieri Caputi che, nell'esordio storico di una terna arbitrale tutta al femminile, mantiene un metro di giudizio cauto sì, ma mai frenetico, sereno ed 'europeo', evitando il più possibile il ricorso ai cartellini, limitandosi a qualche richiamo verbale. La leggerezza dei padroni di casa è tangibile dalla tranquillità con la quale reagiscono agli squilli del Torino, domato da un pronto Sommer, impegnato almeno un paio di volte, e agli errori sotto porta dei vari imperfetti Thuram, Lautaro e Carlos Augusto. Gli animi si scaldano immediatamente con il rientro in campo dopo l'intervallo, quando Tameze atterra Mkhitaryan in corsa libera verso la porta di Milinkovic Savic che costringe la direttrice di gara ad estrarre il primo cartellino della gara che il VAR tramuta di giallo in rosso per intervento su ultimo uomo in chiara occasione da gol e punizione dai venti metri che Hakan Calhanoglu non riesce a trasformare in vantaggio, infrangendo la possibilità di vantaggio contro il primo anello verde.

La superiorità numerica inizia a pesare col trascorrere dei minuti, quando la squadra di Juric è costretta a concedere di spazi che i nerazzurri saccheggiano, alzando baricentro e pressione che si traducono in men che non si dica in una doppietta personale di quell'idolo neroblu tanto decantato e idolatrato dalla Milano nerazzurra, Hakan Calhanoglu. Vittoria sottoscritta al termine di una corale azione orchestrata dal tandem d'attacco Lautaro-Thuram e confezionato da un ottimo Carlos Augusto che serve l'irreprensibile turco, glaciale di fronte all'estremo difensore granata, costretto a raccogliere ancora il pallone dalla rete dopo soli quattro minuti quando, dal dischetto (dopo un penalty concesso senza esitazione dal fischietto di Livorno dopo l'inequivocabile spinta di Lovato su Thuram in piena area di rigore) l'ex Milan non gli lascia scampo, mettendo il risultato sul 2-0. Inzaghi mischia le carte, concedendo spazio anche ai vari Sanchez, Asllani, Frattesi, Buchanan e Arnautovic, senza mai togliere il capitano, al quale a gran voce il mondo nerazzurro brama una rete che però il Toro di Bahia Blanca non riesce a trovare. Gli ultimi giri d'orologio scorrono sciorinando un copione mai mutato nel corso della seconda frazione di gioco: dominio della squadra di casa, in costante ricerca del gol ma senza particolari ansie e angosce, il tutto nel bel mezzo di un rumorosissimo San Siro che non smette mai di intonare cori che persino il Demone di Piacenza finisce con l'intonare per scaldare una voce che tra qualche ora finirà di perdere, probabilmente definitivamente, per celebrare un pezzo di storia di cui è principale artefice pur non volendosene mai prendere i meriti, senza almeno condividerli con la sua meravigliosa famiglia nerazzurra.

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Sezione: Focus / Data: Dom 28 aprile 2024 alle 14:30
Autore: Egle Patanè / Twitter: @eglevicious23
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