La diatriba sarà la solita: è una questione mentale; no, questi giocatori sono sopravvalutati e viziati, e il tasso tecnico generale è poco più che mediocre. Colpa del ds Ausilio che li ha presi, e in qualche caso dei cattivi consigli di Kia, abile a costruirsi la sua scacchiera di interessi sulla quale sposta pedine di dubbia utilità. Oppure, vogliamo parlare dell'allenatore? Pioli da tempo pare essere piombato nel consueto morbo di panico e appannamento mentale che affligge chiunque sieda sulla panchina bollente di San Siro, se si tiene conto delle eccezioni più nobili, e oramai lontane. Insomma, per quale ragione questa squadra cambia tecnico come fosse biancheria intima, compra e vende una ventina di giocatori all'anno, muta di continuo la sua pelle eppure non riesce a perdere mai il vizio di sbracare?
IL SOLITO FILM - È una questione che in qualche modo valica i limiti temporali di questa annata: è proprio il solito film. La stagione parte bene, parte male, a seconda dei casi: arriva un punto, di solito intorno a gennaio, in cui l'Inter vede l'obiettivo, prende la mira, si carica con dichiarazioni entusiastiche e proclami seminati sui social da giocatori e addetti ai lavori. L'ambiente gonfia il petto, i nerazzurri sembrano tornati al vecchio splendore. Poi, la doccia gelata che sveglia tutti, e il traguardo che si rivela inarrivabile all'orizzonte: quest'anno, tale punto di svolta può essere identificato con buona approssimazione nel pareggio di Torino, più che nella sconfitta casalinga con la Roma. Ebbene, da lì in poi l'Inter sembra costituzionalmente incapace di portare la barca in porto, di salvare la faccia iniziando a lavorare per il futuro nel rispetto del presente e di chi, nel presente, continua a seguire la squadra. Con la sola eccezione dello scorso anno, quando i nerazzurri chiusero con un rassegnato quarto posto, questa squadra si sfalda e si sfilaccia, con il risultato che tale sfaldamento arrivi a manifestarsi inevitabilmente sul campo.
COME AL PARCHETTO - La gara di ieri sera, in questo senso, è un esempio lampante. Le due squadre, che in cuor loro sanno di poter già chiedere poco o nulla a questo campionato, si affrontano lunghissime, tirandosi sberle continue con una serie ininterrotta di ribaltamenti di fronte. Il vantaggio con cui l'Inter rientra negli spogliatoi è un buon risultato, se non fosse il frutto di un atteggiamento già troppo spensierato anche nella prima frazione, con un Handanovic costretto a discreti straordinari. Inutile sottolineare, invece, quanto sia desolante l'approccio del secondo tempo, con la Fiorentina che va in porta ogni qual volta un giocatore in maglia viola ha il capriccio di farlo. Quella sorta di forcing finale guidato da Icardi suona tanto più beffardo perché tardivo e inutile: non può essere spiegato, insomma, neanche a partire da una reazione d'orgoglio, se nei minuti precedenti si stava in campo come al parchetto sotto casa.
IL CAPITALE UMANO - L'orgoglio, insomma, non è parte di questo gruppo, l'affiatamento a quanto pare lascia posto all'individualismo, e in campo finiscono per mancare le giuste distanze, gli opportuni ripiegamenti (terribili, in questo senso, le prestazioni dei due mediani) e una volontà solida e condivisa di far bene. Eccolo, appunto, il solito film, troppo simile ad esempio a quell'Inter-Udinese del maggio 2013 che ha posto fine all'epoca di Stramaccioni. Manca senz'altro una guida, in campo e fuori; manca la frusta e la sensibilità dei giocatori che dovrebbero avvertire le frustate. Ausilio, fresco di rinnovo, dovrà scegliere a partire dalla testa del singolo, scrutando nei suoi occhi la voglia e la capacità di "sentire" la causa; la società, insieme all'allenatore, avranno invece il compito di creare un gruppo coeso e reattivo agli stimoli. Perché in campo ci va anche la testa, e non si può rinunciare ancora a tenerne conto.
Autore: Antonello Mastronardi / Twitter: @f_antomas
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