Che sia pericolo scampato o rimonta da Pazza Inter è certamente importante, ma quello che conta ancora di più è che il Biscione chiude il 2014 con solamente 21 punti conquistati nelle prime 16 giornate, e la gara contro la Lazio si 'veste' da ennesimo capitolo del campionato delle occasioni sprecate. Pomeriggio che porta in dote una serie di risultati favorevoli all'Inter con la possibilità di accorciare clamorosamente portandosi a sole quattro lunghezze dalla mattonella Champions League. Quattro punti, una distanza ristretta se si considerano i tantissimi palsi falsi di questo kick-off stagionale. Insomma, 23 punti con 'vista' europea a 27 a portata di mano che avrebbero significato una grandissima vittoria e un Natale molto sereno, e invece... invece accade che il nerazzurro cinico, concreto, pratico (pur con qualche sofferenza) e soprattutto vincente del 'Bentegodi' non c'è più, per una scelta interna del coach che decide di capovolgere la squadra.
ORO DA COLTIVARE - Ebbene sì. L'Inter zoppicante di quest'anno ha raccolto poco finora in campionato, con sicurezze che ai nastri di partenza apparivano garanzie che sono andate via via sparendo, e ogni prestazione positiva, ogni vittoria in questo preciso momento rappresenterebbe oro per Roberto Mancini. Oro da valorizzare, proteggere, possibilmente moltiplicare ogniqualvolta se ne presenti l'occasione. Inter-Lazio avrebbe potuto significare tutto questo. Tre punti vitali contro il Chievo e assetto tattico ben preciso, un 4-3-1-2 con Mateo Kovacic 'vestito' da 10 e coppia d'attacco Rodrigo Palacio-Mauro Icardi. Tre in mediana e difesa 'a quattro' con l'equilibrio di Danilo D'Ambrosio da una parte e la verve di Yuto Nagatomo dall'altra. Vittoria, con qualche pericolo, ma pur sempre vittoria. Una sorta di piccolo mattone posto sul 'castello della fiducia' che fino a qualche settimana veniva rapito e derubato da tanti fin troppo spesso. Un piccolo passo che di questi tempi vuol dire... oro, appunto.
CAPOVOLGIAMOLA - Nessun prosieguo tattico e di scelte, perché contro la Lazio il Mancio rinuncia a Gary Medel dall'inizio, optando per una strana coppia tutta mancina Nagatomo-Dodò a sinistra in un 4-3-3 atipico. Giappone-Brasile che si scambiano sovente la zolla comune, Fredy Guarin ancor più anarchico del solito e la sensazione di frenare il talento puro di Kovacic, con il solo Zdravko Kuzmanovic chiamato a dare equilibrio. Una sola mossa, una singola scelta che alla fine del primo tempo appare già come un suicidio tattico, e il risultato e il cambio tra il baby face brasiliano e il Pitbull. Più che una vera e propria sostituzione, sembra più un mea culpa. Rebus a questo punto scontato: perché non dare seguito all''undici' di Verona provando a rafforzare con la contintuità di metodo le poche certezze che oggi questa squadra possiede? Il 4-3-1-2 della ripresa è infatti il tentativo di ritorno alla normalità che il 2-0 laziale aveva spezzato pronti-via in soli 35' con l'1-2 di Felipe Anderson.
LA BACCHETTA E LA NUVOLETTA DEI PENSIERI - "Ci penso io, altrimenti...". Immaginate la nuvoletta dei pensieri tipica dei fumetti. Ecco, analizzando il primo tempo e le giocate (o i tentativi considerando il matematico stop per falli avversari) di Kovacic sembra che sopra al suo 10 ci sia proprio questa frase, racchiusa nella famosa nuvoletta. L'unico in grado di saltare l'uomo, l'unico in grado di prendersi le responsabilità della giocata con una certa logica (Guarin non si offenderà per questa frecciata indiretta...), l'unico che a un certo punto dei primi 45' si trova spiazzato dai suoi stessi compagni, con le braccia allargate che riassumono il gioco dell'Inter fino a quel momento: assente. Nella ripresa la musica però cambia, e il maghetto sale in cattedra. Prende la bacchetta, 'tocca' la gara con un gol meraviglioso e la riapre al meglio. È lui la nota lieta della serata, ma questo non è certamente una novità.
DA LAZIO A... LAZIO, 255 GIORNI DOPO - "Bentornato", "Scusate il ritardo". Botta-risposta tra popolo interista e Trenza. Una stima reciproca che non è mai mancata, ma che necessitava da tempo di quella novità che sembrava non arrivasse più. Invece il 2-2 non porta la firma di un uomo qualunque, la parabola di Bonazzoli e l'assist fortuito di D'Ambrosio favoriscono proprio il piede più triste di questo periodo, messo in dubbio da tanti e desideroso di ritrovare la zampata vincente, seppur il gol da raccontare non sia da leggenda. Quello che però conta è che Palacio abbia messo in 'buca' una palla pesante, finalmente, 255 giorni dopo l'ultima volta, che non coincise con un match qualsiasi, ma con quello dell'addio al calcio di Pupi Zanetti giocato nello scorso 10 maggio, con di fronte proprio la squadra biancoceleste. Da Lazio a Lazio, insomma. Un cerchio che si completa e che il codino del Trenza spera ora che non ci sia più bisogno di chiudere nuovamente.
Autore: Francesco Fontana / Twitter: @fontafrancesco1
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