“Vogliamo andare fino in fondo in Europa League”. Questo il concetto più chiaro espresso nel suo italiano in fase di perfezionamento da Frank de Boer nel corso della conferenza stampa della vigilia del match contro lo Sparta Praga. Dichiarazione diretta e senza equivoci: almeno nelle parole, la spedizione in Repubblica Ceca iniziava col presupposto di dimenticare rapidamente la serata nera contro l’Hapoel Be’er Sheva e cominciare a macinare punti anche nella seconda competizione continentale, concetto puntualizzato anche dal vice president Javier Zanetti poco prima del fischio d’inizio; il tutto col chiaro intento di puntare al traguardo finale di Solna. Nelle parole, appunto: perché poi passa qualche ora, si scende in campo e i toni, dalla preannunciata lirica, diventano quelli della tragedia.

UN, DUE, TRE, STELLA – Da dove nasce la disfatta di Praga, la seconda magra figura in ambito europeo di un’Inter che con questa manifestazione pare avere maturato un pessimo feeling? Forse nasce da lontano, da quelle scelte nella rosa dettate da quelle dannate restrizioni del Fair Play Finanziario, che hanno costretto a presentare una lista dimezzata negli uomini e certamente anche del valore. Ma nonostante il suddetto valore dell’elenco europeo non sia paragonabile a quello della rosa completa, questo non toglie teoricamente molto alle qualità del gruppo rimasto a disposizione di Frank de Boer. E allora, ecco venire alla ribalta tutti i problemi legati all’approccio nei confronti di questa manifestazione. L’Inter, sulla carta, sempre sulla benedetta carta, una delle candidate addirittura alla vittoria finale, ha sin qui preso il lato peggiore dell’apatia endemica delle nostre rappresentanti verso questa manifestazione; dopo due giornate, però, l’Inter è l’unica italiana senza un punto in classifica e questa è davvero una cosa da strapparsi i capelli. E guardando al primo tempo del match della Generali Arena, viene anche da prendere il cranio pelato e sbatterlo contro un muro: impatto con la gara che sfocia ben oltre l’imbarazzo, contro uno Sparta che veniva da quattro giorni abbastanza complicati ma che è arrivata a gozzovigliare sulle abulie di una difesa protagonista di ingenuità inqualificabili. Quella che porta al gol del 2-0 dello scatenato Vaclav Kadlec, che potrebbe anche mettersi a ballare una polka in area di fronte ai giocatori avversari a fare da contorno di belle statuine, ne è lo scoraggiante emblema.

IL GIORNO PIÙ BELLO David Holoubek è giovane, gioviale, sembra quasi il primo Andrea Stramaccioni, quello che si affacciava quasi all’improvviso nel calcio dei grandi. E un po’ le storie si somigliano, visto che anche lui, dopo tanti anni nelle giovanili dello Sparta, all’improvviso si è ritrovato catapultato in una realtà più grande, talmente all’improvviso che solo pochi minuti prima della conferenza stampa della vigilia della gara di ieri era sulla panchina dell’Under 19. Ma di certo non è uno sprovveduto. E probabilmente si è detto: se proprio deve essere l’unica partita per me alla guida della prima squadra, allora tanto vale fare le cose in grande. E per un giorno dimentichiamo i guai successivi alla sconfitta nel derby contro lo Slavia, arriva un’avversaria di rilievo e allora darò tutto. È stato il suo giorno: assecondato da un’Inter lieta spettatrice per tutto il primo tempo, ma soprattutto aiutato dalla serata di grazia di Kadlec e dell’iradiddio Borek Dockal, Holoubek regala al pubblico della Generali Arena uno spettacolo forse mai visto in questo avvio di stagione. Squadra sbarazzina, incisiva, capace di fare andare in tilt qualunque accenno di meccanismo degli avversaria. Poi il suo Sparta calerà alla distanza e l’Inter farà vedere sicuramente qualcosa in più, ma è tutto così ben definito e così magico in questa serata che la superiorità numerica per l’espulsione di Andrea Ranocchia viene capitalizzata con l’ultimo chiodo nella bara, piantato a pochi centimetri dalla linea di porta da Mario Holek. Esulta Holoubek e ne ha ben donde, questa serata difficilmente la dimenticherà.

UN NUOVO TANGO – Cosa c’è, invece, di difficilmente ricordabile nella serata dell’Inter? Poco, pochissimo, francamente. Giusto una discreta reazione a buoi ormai già scappati e lontani almeno un chilometro dalla stalla, che poteva anche portare a qualcosa in più perché Rodrigo Palacio non si arrende all’età che passa e trova la rete nel momento forse ideale per riaprire il match, ma poi Ranocchia compie la sciocchezza su Pulkrab e vanifica tutto definitivamente. E forse c’è da prendere nota della buona prima apparizione stagionale di Cristian Ansaldi con la nuova maglia. Atteso in maniera quasi spasmodica, il rientro in campo del laterale argentino, individuato come l’elemento che può alzare il livello di quello che è davvero il punto debole assoluto dell’organico interista, le corsie esterne. L’inizio è stato buono: molta partecipazione, dai suoi piedi sono arrivati i primi spunti potenzialmente interessanti. Poi si adagia e si adegua al livello medio(cre) dei compagni, ma i segnali sono incoraggianti.

NUN FA’ LA STUPIDA – Ma per il resto nulla, anzi questa ennesima serata finita con le pive nel sacco deve portare a delle riflessioni sulla mentalità con la quale si sta affrontando questa competizione, che poteva essere utile al rilancio internazionale dell’Inter (come d’altronde auspicato da investitori e potenziali sponsor). Perché lamentarsene dopo e dire che l’Europa è diversa dall’Italia dopo aver preso una bambola simile non serve assolutamente a niente. E perché non possono essere i soliti noti Mauro Icardi e Ivan Perisic a tirare la carretta quando potrebbero benissimo rifiatare, perché altro non si fa che rimarcare la forbice tra l’undici titolare e le cosiddette seconde linee, che possono anche difettare per qualità ma che se aggiungono anche la poca volontà di approfittare di una vetrina per mettersi in mostra e giocarsi le loro carte, allora il risultato è quello visto ieri: quello di un’Inter Giano Bifronte, che in Italia prova a convincere anche quando non vince, ma che oltreconfine si fa notare per certe prestazioni incolori a dir poco. La qualificazione a detta di De Boer è ancora possibile ma il cammino ora diventa un muro da Giro delle Fiandre; ma domenica, c’è già una grande sfida di campionato, quella contro la Roma. Ma è a questa Inter che serve un Rugantino che le dica di non fare la stupida domenica sera…

PS – L’accostamento calcio-cinema del titolo è voluto, perché di calcio (di Inter soprattutto), e di cinema amava parlare con passione un caro amico e collega, una persona appassionata e competente, un uomo sottratto troppo presto alla vita da un male crudele. Riposa in pace, Luca.

Sezione: In Primo Piano / Data: Ven 30 settembre 2016 alle 08:00
Autore: Christian Liotta / Twitter: @ChriLiotta396A
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