Diciassette mesi difficili. Con due alibi
Non sarà un mostro di simpatia, né uno caratterialmente predisposto ad accattivarsi gli apprezzamenti altrui attraverso gesti o frasi di particolare effetto. Non sprizzerà “interismo” da tutti i pori (come però del resto nemmeno molti dei componenti dell’attuale famiglia nerazzurra, a cominciare da un presidente indonesiano che ha acquistato l’Inter con i soldi prestatigli da un gruppo di banche, alle quali sono freddamente e pericolosamente state offerte in garanzia le attività dell’Inter stessa), né si può dire sia provvisto di una dialettica tipicamente inattaccabile ed affabulatrice. Tutto si potrà affermare su Walter Mazzarri, comunque, tranne che sia un allenatore incapace.
Più di ogni altra cosa, lo dice la sua carriera: prima di giungere sulla panchina del Biscione, nove stagioni consecutive di Serie A trascorse senza mai subire un solo esonero e toccando sovente traguardi finali inizialmente poco pronosticabili, soprattutto se parametrati alle rose a disposizione. Tre salvezze di fila da tecnico della modesta Reggina, l’ultima conquistata partendo con la zavorra di una pesantissima penalizzazione di ben quindici punti (divenuti poi undici in corso d’opera). Un biennio alla Sampdoria condito – oltre che da una qualificazione in Europa League – dall’approdo in finale di coppa Italia, obiettivo che i liguri non centravano da quindici anni. Quattro stagioni al Napoli, preso in corsa nell’ottobre 2009 nei bassifondi della classifica e immediatamente condotto al sesto posto, guidato nel 2012 a vincere la coppa Italia a distanza di un quarto di secolo dal precedente trionfo partenopeo nella coppa nazionale e successivamente portato nel 2013 al conseguimento del secondo posto in campionato, miglior piazzamento nella saga del club campano post-Maradona. Traguardi importanti, specialmente se rapportati al fatto di averli ottenuti capeggiando formazioni storicamente non certo di prima fascia.
Traguardi raggiunti da WM anche grazie al suo essere trainer che pensa al calcio ed al bene della propria squadra ventiquattro ore su ventiquattro, un incessante lavoratore di campo serissimo, esperto, concreto e scrupoloso al limite del maniacale nella dedizione donata alla causa: qualità dipingenti un allenatore che, al di là del dorato ed eccessivo ingaggio percepito, nell’ultimo e complicato anno e mezzo ha seguitato a dimostrare di essere anzitutto un grande professionista (riscontrando e meritandosi, pubblicamente e perennemente, la stima e l’appoggio sincero dei suoi giocatori). I tanti fischi mischiati ai giudizi negativi ed irridenti piovutigli addosso dall’estate 2013 a oggi, in alcuni casi decisamente sproporzionati se non addirittura prevenuti, avrebbero dunque dovuto tenere conto pure di ciò.
Così come avrebbero dovuto tenere conto di due fattori fondamentali, risultanti sfavorevolmente decisivi anche nell’annata che ha visto al timone della Beneamata il giovane ma sicuramente dotato mister Andrea Stramaccioni, dai quali non si può assolutamente prescindere se si vuole analizzare in maniera corretta l’operato di Mazzarri nei diciassette difficili mesi di permanenza all’ombra della Madonnina: da un lato il fattore infortuni e, dall’altro, il fattore arbitraggi. Riguardo al discorso infortuni, l’aver disputato pressoché l’intero girone d’andata del torneo 2013/2014 senza un centravanti puro – leggasi Icardi e Milito – utilissimo nel dare profondità e potenza offensiva alla squadra è stato innegabilmente uno dei problemi più rilevanti, unito altresì all’aver vissuto un autunno 2014 a dover far giocare una gara ogni tre giorni sempre agli stessi tredici-quattordici stanchi uomini (talvolta, inevitabilmente utilizzati fuori ruolo) a causa dei molti tributi corrisposti all’infermeria, e alla sfortuna, nell’arco di appena due mesi. Ha invece toccato vette quasi grottesche la vicenda, ormai arcinota malgrado venga spesso e opportunamente messa a tacere da numerosi e intellettualmente poco onesti media, narrante di un’Inter costantemente penalizzata da almeno un triennio a questa parte da irritanti ed influenti errori arbitrali, in alcune circostanze indiscutibilmente nitidi e in altre “solo” apparentemente impercettibili (in quanto figli di episodi giudicati perlopiù “di dubbia interpretazione” che, a differenza di ciò accaduto a determinate altre compagini, vengono puntualmente fischiati a sfavore di Ranocchia&C.).
Un tormento costato diversi punti alla formazione nerazzurra, ai cui sostenitori, oltre all’“Attenti, ve la faranno pagare” confidenzialmente pronunciato dal tecnico José Mourinho nel maggio 2010 subito dopo la vittoria da parte dell’Inter del quinto scudetto consecutivo, ha fatto pesantemente riaffiorare quei cattivi pensieri legati ad una turpe e amareggiante era, durata svariati anni, che gli amanti del calcio speravano essere definitivamente conclusa. Il secondo club italiano per cifra di tifosi e per titoli nazionali conquistati, pur essendo storicamente allergico ai “giochi di potere” tanto cari a certi suoi avversari, ha quindi l’obbligo di pretendere e ottenere doveroso rispetto e uniformità di trattamento dalla classe arbitrale, attraverso anche i cui sbagli sono ruotati i destini dei due ultimi allenatori sedutisi sulla panchina del Biscione.
Pur in presenza degli elementi sopracitati, ed essendo inoltre la Beneamata alle prese con una delicata ed epocale rivoluzione societaria che pare aver riportato l’orologio indietro di vent’anni, nella stagione meneghina di debutto Mazzarri è comunque riuscito a migliorare di quattro posizioni la pessima classifica 2012/’13, balzando dal nono al quinto posto: piazzamento che però non è stato in grado spegnere i crescenti ed insofferenti mugugni di buona parte dell’esigente tifoseria “bauscia” che, a conferma del feeling mai sbocciato con WM, ai primi risultati negativi del campionato in corso ha ricominciato vigorosamente a reclamare un mister più organico alla storia nerazzurra e che parallelamente proponesse un’idea di calcio maggiormente spettacolare ed entusiasmante rispetto a quella nelle corde del cinquantatreenne tecnico livornese, nel frattempo sempre più stritolato da un ambiente carico di tensioni e critiche che stavano pericolosamente contagiando anche il gruppo.
L’inaspettato ritorno dell’indimenticato, autorevole e pluridecorato Roberto Mancini, allenatore-manager dal profilo internazionale sicuramente da annoverarsi tra i top del football europeo, è stato accolto con notevole fervore dal popolo del Biscione principalmente per tali motivi. Un’operazione coraggiosa, in considerazione dello stato di salute poco confortante delle attuali casse interiste, ma che al contempo, non essendoci più il parafulmine Mazzarri che piglia fischi e laser verdi in faccia a prescindere, pone ulteriormente la squadra davanti alle proprie responsabilità e la invita a prendere coscienza della differenza esistente tra l’essere guidata da grandi allenatori e da allenatori da grandi. Infortuni e arbitraggi permettendo, of course.
Pierluigi Avanzi