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Difendere l'indifendibile: l'Italia del pallone

di Gianluca Scudieri

No, non ci siamo. Non possono bastare delle scuse pronunciate negli spogliatoi per far passare in secondo piano tutto quanto, non possono bastare i soliti tentativi italici di sminuire qualcosa per ridimensionare ciò che non è ridimensionabile. E non è perché si tratta dell’allenatore dell’Inter che si prende questa posizione di difesa, ma perché sarebbe bello, almeno una volta, che noi italiani ci smentissimo rendendoci conto che quello che è successo martedì sera non può essere considerato come “una cosa di campo”. In questo periodo storico il calcio ha bisogno di esempi positivi e non è pensabile che frasi come quelle di martedì sera, e quelle che si susseguono nella giornata di oggi, possano essere sdoganate perché figlie del nervosismo e della tensione della gara.

Questa sarebbe l’occasione perfetta per far capire che anche il calcio in Italia ha fatto uno step in avanti rispetto all’ignoranza che lo circonda e invece non si perde occasione di giustificare e, addirittura, puntare il dito contro chi ha avuto il coraggio, perché toccato dalle offese, di svelare il contenuto dell’alterco. Un po’ come se si condannassero coloro i quali denunciano di subire il pizzo in determinate zone perché quelle sono cose abituali in quel territorio. Non è esagerato l’esempio, è la pura e sacrosanta verità. Un conto è la provocazione, parte fondante di ogni sport, quel trash talking di cui si sente molto parlare anche dall’altra parte dell’oceano, un altro è valicare il confine del buon senso e del rispetto verso un’intera categoria. Se una persona non è razzista, non usa quelle parole per offendere un altro, si “limita” ai classici improperi che tutti conosciamo, poi sta alla persona di fronte  far finta di nulla. E’ vero, di queste scene se ne vedono a bizzeffe su tutti i campi, ma è altrettanto vero che si può provare a cambiare le abitudini malsane di questo mondo pallonaro. Un carissimo amico di chi vi scrive ha giocato per anni difensore centrale sui campi di categorie inferiori e ha avuto a che fare contro attaccanti il cui unico scopo era provocare utilizzando il punto più debole di un ragazzo nemmeno 18enne, la madre. Sarebbe facile vendicarsi con un calcio o un pugno, ma sarebbe proprio quello che il provocatore vorrebbe e allora lì viene fuori l’intelligenza e davanti a questa sconosciuta ai più anche il più subdolo provocatore deve stare zitto e iniziare a giocare invece che a parlare. Peccato che in Italia queste siano mosche bianche.

In Italia. Perché negli Stati Uniti, che saranno stati scoperti ben più tardi della nostra penisola, ma la cui cultura sportiva è mediamente avanti anni luce rispetto al Bel Paese, questi eventi non solo sono ridotti al lumicino, ma vengono colpevolizzati da chiunque. Nell’ultimo anno ci sono due episodi simili a quanto accaduto ieri sera a Napoli, ma ovviamente la reazione è stata esattamente l’opposta nell’opinione pubblica: il primo ha riguardato Donald Sterling, allora proprietario dei Los Angeles Clippers, che aveva palesato il proprio razzismo chiedendo ad un’amica di non farsi accompagnare allo Staples Center (casa dei Clippers) da uomini di colore perché “lo infastidiva il fatto che si volesse far vedere assieme a uomini neri”. Reazione del mondo NBA? Tutti quanti, suoi dipendenti inclusi ovviamente, hanno chiesto, e poi ottenuto, la cessione dei Clippers da parte di Sterling. L’altro esempio, ben più recente, riguarda Matt Barnes, uno di quei trash talkers di cui sopra: il giocatore accusato di aver terrorizzato la sua ex moglie ha recentemente detto che “la violenza non è mai la risposta, ma alle volte lo è. Sfortunatamente è successo ma io non rimpiango di averlo fatto”. Un fatto che tecnicamente non ha a che fare con il campo, ma che la NBA ha voluto punire con 35mila dollari di multa perché “non rappresenta l’ideale che la lega vuole trasmettere”. Ovviamente nessuno si è nemmeno sognato di difendere l’ala dei Grizzlies, ma non faticherei a credere che in Italia sarebbero proliferati come funghi i suoi avvocati difensori, aggrappati ai soliti spiacevoli luoghi comuni.

Non serve piangere sul latte versato, quanto è successo martedì sera a Napoli è stato deplorevole e ci ha pensato la giustizia sportiva a dirimere la controversia, il problema più grande da risolvere ora è un altro. Bisogna cambiare la mentalità di un’intera popolazione sportiva che rimane fossilizzata sulle arcaiche posizioni piuttosto che ammettere che certi episodi vanno condannati a prescindere perché questo farebbe solamente il bene di questo sport.


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