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Il curioso caso mediatico della strafavorita Inter di Simone Inzaghi

di Redazione FcInterNews.it

A livello calcistico, in quarant’anni di vita in discreta parte spesa sugli spalti di San Siro, l’Inter ha praticamente realizzato ogni mio personalissimo tipo di sogno, avendo nel frattempo messo in bacheca qualcosa come venticinque trofei (che, un pezzo alla volta, hanno ormai da un bel po’ irrimediabilmente incrinato l’ugola di chi, specialmente nella torbida epoca pre-Calciopoli, aveva per intere stagioni ridentemente sbruffoneggiato nel cantarci “non vincete mai”). Non sono ovviamente mancati nemmeno periodi bui, in cui tifare e andare allo stadio erano vissuti come una vera e propria missione. Il supporter nerazzurro, a differenza magari di altri, sa infatti ben distinguere il sublime dall’osceno. In questo quarantennale viaggio della memoria perennemente in bilico fra gioie e dolori, però, la sola inscalfibile certezza è stata quella di sostenere l’unica grande del football italiano che, da sempre, è orgogliosamente insediata all’opposizione anziché al governo. Senza poter godere quindi di alcuna forma di “soccorso” in campo mediatico dove, per svariate ragioni, sovente si è puntualissimi nel pesare diversamente la narrazione in base ai colori trattati (e le roventi polemiche a senso unico sollevate post match col Verona, ad assordanti decibel raramente utilizzati in passato seppur di fronte ad episodi più gravi e reiterati, ne sono prova lampante).

Una delle dimostrazioni più recenti della sopracitata tesi è relativa ad esempio a Simone Inzaghi, degnissimo allenatore oggetto alcune settimane fa di un criticabile ed a tratti quasi canzonatorio articolo apparso su una storica rivista sportiva che negli ultimi anni – sulla generale scia mediatica di un dibattito calcistico che nei toni ha ormai da tempo imboccato una piega aggressivamente divisiva e accalappialike, dove spesso le opinioni prevalgono sui fatti – ha tuttavia intrapreso una deriva editoriale pressoché inarrestabile. Simone Inzaghi, dicevamo. Altresì detto mister “Spiaze”, come ironicamente ribattezzato da certi suoi detrattori di professione che lo reputano alla maniera di un semplice gestore di spogliatoio che meno allena e meglio è. Gli stessi che, dal suo arrivo a Milano sulla panchina della Beneamata nell’estate 2021, l’hanno comunque additato a indiscutibile strafavorito per la vittoria dello scudetto quando in realtà, da tre stagioni a oggi, il tecnico maggiormente pagato della Serie A (alla pari di José Mourinho) con a disposizione la rosa dal monte ingaggi più alto di tutte abita ad ovest di circa 140 chilometri. Come se si volesse appesantire unicamente l’Inter, reduce da una sfilza infinita di sessioni di mercato a budget zero o quasi, del fardello assoluto di conquistare il tricolore per poter magari poi godere nel griffare con la parola “fallimento” l’annata nerazzurra nel caso al termine il titolo venisse vinto da una delle altre autorevoli candidate: il Napoli campione d’Italia in carica, il Milan dei 112 milioni investiti lo scorso luglio/agosto, la Juventus senza impegni europei dei 140 chilometri ad ovest di cui sopra.

Mai come in questo caso, indispensabile è riavvolgere il nastro. Alla prima stagione in nerazzurro, pur con una formazione innegabilmente indebolita rispetto all’annata precedente (avendo dovuto rinunciare in estate a calciatori del calibro di Achraf Hakimi, Christian Eriksen e Romelu Lukaku) e dovendo gestire la scomoda eredità di un top player della panchina chiamato Antonio Conte, Inzaghi si è immediatamente confermato tecnico competente, serio e lontano dalle luci della ribalta, molto più incline alle urla in campo che non fuori. Grazie anche all’intelligente scelta intrapresa di mantenere l’adeguato 3-5-2 “contiano” – pur se interpretato sul manto erboso con sfumature differenti – come collaudato sistema tattico, al debutto ha subito conquistato Supercoppa italiana, coppa Italia e conteso lo scudetto sino all’ultima giornata a un Milan, di lì a pochi mesi, futuro avversario in semifinale di Champions League. Supercoppa italiana e coppa Italia bissate pure l’anno passato, con l’aggiunta di una totalmente insperata quanto prestigiosa finale di coppa dei Campioni che l’Inter non disputava dal magico 2010, pur avendo perso per strada per buona  parte del cammino (oltre che il miglior giocatore 2021/’22, Ivan Perisic, salutato a luglio) i lungodegenti Milan Skriniar, Marcelo Brozovic ed il pentito Lukaku rientrante dal Chelsea. Contingenze che hanno fra l’altro portato l’ex allenatore della Lazio, sino alla scorsa primavera continuamente sull’orlo dell’esonero a detta di tanti “trombettieri” dell’etere e non solo, a trasformare con successo il centrocampista offensivo Hakan Calhanoglu in un sontuoso ed attualmente intoccabile regista davanti alla difesa. Quest’anno, infine, nuova rivoluzione estiva che ha visto lasciare Appiano Gentile i sopracitati Skriniar, Brozovic e Lukaku, assieme a due ulteriori elementi risultati fondamentali come André Onana ed Edin Dzeko: cinque rilevanti uscite che hanno reso così i vicecampioni d’Europa, almeno sulla carta, non certo più forti del giugno precedente. Gli acquisti low cost di sostituti quali Yann Sommer e Marcus Thuram, oltre che l’indovinata amministrazione e amalgama delle altre preziose pedine presenti in rosa, già a metà stagione paiono però averle parzialmente attutite: la vetta solitaria in campionato (dove spicca il debordante 5-1 contro il Milan, ultimo di cinque consecutivi derby nettamente vinti dalla banda Inzaghi nel 2023) e la qualificazione anticipata per gli ottavi di Champions sono infatti a dimostrarlo. Il tutto anche per merito della crescente ascesa alla stregua di leader positivo del quarantasettenne mister piacentino, sette trofei sinora messi in palmares di cui quattro con la Beneamata, abituato da ormai trenta mesi a disinnescare i frequenti tentativi di “prostituzione intellettuale” con un placido sorriso e di partorire frattanto trame di gioco, quando affiancate da un’apprezzabile condizione atletica, coinvolgenti e spettacolari come da tempo non si osservavano sulla sponda mai retrocessa del Naviglio. Spiaze per chi non dovesse essere d’accordo.

Pierluigi Avanzi


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