Il nostro orgoglio è grande. Anche in piccolo
Sulla partita di sabato ormai sono stati spesi fiumi di parole: ed è per questo che ormai non vale più la pena di parlare del Rocchi Horror Picture Show, dei meriti del Napoli, che per inciso, lo ribadisco, rimangono, soprattutto nell'abilità con la quale hanno saputo capitalizzare la situazione presentatasi davanti, a prescindere da quanto combinato dall'impresentabile fischietto fiorentino, e di tutti gli annessi e i connessi che hanno condizionato la partita della squadra nerazzurra; basta, ormai parlare di tutto questo fa solo l'effetto di una fetta di limone passata sopra le ferite. Però, su un aspetto emerso in queste ultime ore devo necessariamente soffermarmi: il sospetto, avanzato sin dai primi minuti successivi al match, di un piano di vendetta trasversale ai nostri danni per quanto successo durante l'estate.
Il soggetto è sempre lo stesso: lo scudetto 2006, quell'incredibile tricolore del quale a distanza di cinque anni si continua a parlare troppo e forse a sproposito. Quel tricolore per il quale avanza il tremendo sospetto che, a distanza di anni, per compiacere i tanti benpensanti che in questi anni hanno lanciato le loro grida di indignazione per la mancata rinuncia alla prescrizione da parte dell'Inter e per la mancata pronuncia da parte della Figc per incompetenza sul ricorso della Juventus, l'Inter, aspettando magari che il Tnas regali loro un Capodanno anticipato, ora debba pagare, oltre il lecito, sul campo. La designazione di Rocchi, uno che ha dimostrato di avere il grilletto, pardon, il cartellino troppo facile quando di fronte si ritrova le maglie dell'Inter, e che alla fin ha fatto sbottare anche il presidente Moratti che si è augurato di non averlo più davanti agli occhi, non è che l'ultimo indizio. Ultimo dei tre indizi, anzi, dei tre rigori, che alla fine, come ha detto Ranieri, fanno una prova: tre rigori alquanto dubbi fischiati a Novara, Bologna (l'unico che alla fine non è costato punti ai nerazzurri), fino all'apogeo di sabato.
Hanno voglia gli avversari a parlare di accerchiamento, quando non a rispolverare, agevolati anche dalle parole in conferenza stampa di Walter Mazzarri apparso a un certo punto più imbarazzato che confuso, il termine pianginismo: è il pensiero comune di troppi interisti, talmente ridondante da essere arrivato con le sue eco perfino al tecnico dell'Inter, che si è limitato a dire: "Sarebbe diabolico, spero di no". Ecco, appunto, ma in un momento come questo nemmeno la speranza riesce a fugare tutti i dubbi. Perché a pensare male... va beh, ormai il ritornello lo sapete. E allora, di fronte a tutto questo, il mondo nerazzurro ora deve rispettare un unico imperativo categorico: compattarsi, fare gruppo, mostrare una volta ancora, anzi più forte di prima, il nostro orgoglio, andare in giro a testa alta davanti a tutte le iene e gli sciacalli che non aspettano altro che ridere e pasteggiare sulle nostre disgrazie.
La stessa voglia di mostrare fiero il proprio essere interista, per dire, che ho visto ieri mattina nel paese dove vivo in un bimbo di teneressima età che sgambettava felice con addosso la sua bella maglia nerazzurra col numero 25 e la scritta Samuel. Rideva, quel bambino di cui non so nemmeno il nome ma di cui non ho potuto fare a meno di apprezzare il messaggio: "Sono un piccolo interista e nonostante tutto vado in giro a testa alta". Sì, ora più che mai dobbiamo essere grandi come questo piccolo tifoso. Senza fare passi indietro. E vedremo chi riderà alla fine...