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L'occasione persa

di Redazione FcInterNews.it

Devono trascorrere i giorni per riuscire a dare ordine ai pensieri, per uscire dai ragionamenti campanilistici che sempre, in questo Paese, portano a schierarsi irriducibilmente a difesa della propria bandiera o del proprio partito. Sulla vicenda Sarri-Mancini si è detto e scritto tanto, a volte troppo. Prima di essere assaliti dalla voglia di mettere un punto e andare a capo, ma soprattutto prima che tutto finisca nell'abbondante fiume dell'oblio (nessun Paese al mondo ha la memoria corta e dimentica in fretta quanto l'Italia) possono essere utili alcune ultime riflessioni. 

Non è passato inosservato, a una stampa che in questi giorni e' persino andata alla ricerca di testimoni di una discussione avvenuta 15 anni fa (la presunta offesa da parte di Mancini a un giornalista), lo striscione di Castelvolturno con il quale i napoletani si sono schierati dalla parte del proprio allenatore. La difesa parte dalla considerazione che siccome si chiude un occhio di fronte ai cori che fanno riferimento al Vesuvio e ai "terroni", allora sarebbe sproporzionata la bufera nata dall'utilizzo del termine "finocchio". Fermi tutti.

Punto primo: non è dai tifosi che ci aspettiamo l'esempio, la correttezza e la professionalità. In ogni curva, in ogni stadio così come in ogni piazza e in ogni angolo del mondo si nasconderanno sempre menti becere disposte a urlare la propria ignoranza. Oltretutto i cosiddetti cori di discriminazione territoriale spesso erano e sono un vile strumento di ricatto usato dalle curve per rivalersi verso le proprie società tramite le multe che puntualmente la giustizia sportiva rifila ai club. Sono gli allenatori, così come i giocatori e i dirigenti, a dover rappresentare una società di Serie A e quindi a doversi attenere a una certa condotta morale, civile e sportiva. Paragonare eventuali insulti ultra' al comportamento di un professionista e' tanto assurdo quanto sbagliato. E a nulla valgono i riferimenti a certe culture a certe abitudini: chiunque li frequenti sa bene quali espressioni non proprio da Accademia della Crusca volino sui campi di provincia e nelle categorie inferiori. Ma se poi un professionista diventa tale e si ritrova a vestire la tuta di un club prestigioso e affermato non può pretendere di continuare a comportarsi come sul campetto di prima categoria. Avendo, tra l'altro, l'occhio di decine di telecamere puntate addosso oltre che quelli di migliaia di bambini e tifosi sognanti che individuano nei protagonisti del calcio i loro eroi e riferimenti moderni. La Serie A non è solo una categoria ma un livello anche morale e comportamentale. Esserci non è uguale all'esserne degni. 

Punto secondo: l'occhio non è mai stato chiuso di fronte ai riferimenti al Vesuvio e ai "terroni": molti settori in molti stadi sono stati serrati proprio per questo motivo e l'Inter stessa ne sa qualcosa avendo, tra l'altro, salutato il capitano più glorioso della sua storia, Zanetti, con la Curva Nord deserta esattamente a causa di quei trogloditi e stupidi insulti. 

Punto terzo: proprio da una città che da sempre subisce più di ogni altra la discriminazione e il razzismo era lecito attendersi maggior sensibilità e fermezza. Napoli non può pretendere di mettere al bando certe espressioni se poi ne tollera e ne giustifica altre: chi dice "frocio" e chi dice "terrone" è in ugual misura un ignorante e un razzista. Cosa accadrà la prossima volta che si leverà un coro discriminate verso quella città e i suoi abitanti? Si alzerà qualcuno a dire che "sono cose di campo" o che "sono cose che si dicono durante una partita ma poi finisce lì"? Sarebbe assurdo, vero? Di più: continuerebbe ad essere semplicemente incivile per quanto gli incivili, come detto, sono una parte costantemente presente nella categoria umana.

Questa resterà solo l'ennesima, e non ultima, occasione persa dal calcio in Italia dove tutto si strumentalizza e tutto si dimentica. Peccato, perché a volte la bandiera dovrebbe contare meno di una battaglia di civiltà. Sbagliare capita e nessuno verrà mai additato per questo, ma giustificare e sminuire certi comportamenti, di fronte ai quali bisognerebbe solo avere l'umiltà di chiedere scusa senza aggiungere una virgola, è molto più grave dell'errore in sè. Si poteva fare un passo avanti, si è scelto di rimanere fermi. Fermi a ristagnare in una "cultura" che tutto accetta e tutto banalizza con la scusa del "tanto è così, tanto lo fanno tutti". 

Giulia Bassi


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