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La lezione di Diego Milito

di Barbara Pirovano

Lo vedi piangere sull’erba verde del Meazza, lo stesso prato che gli ha regalato tante gioie e tanti sorrisi, e non ti sembra vero che Diego Milito sia a terra e stia urlando dal dolore. In quel momento ti sembra di essere stato preso in giro. Fermi tutti. I giocatori non dovrebbero farsi male, loro sono degli idoli, sono i nostri miti, dovrebbero essere irraggiungibili da qualsiasi male, per loro ci dovrebbe essere sempre lo stesso copione valido: scendere in campo, giocare 90 minuti, far vincere la tua squadra. Punto. Invece no. In quel minuto in cui vedi un uomo urlare a terra capisci che il calcio non è solo la bolla di sapone fatta di soldi, belle macchine, belle donne e bella vita che ti vogliono far credere. Il calcio è anche e soprattutto fatto di uomini. Uomini come noi. Ecco che allora si diventa improvvisamente seri, si seguono i momenti concitati in cui lo staff medico si aggira intorno al giocatore; i visi sono cupi, si capisce al volo che non è un infortunio da niente ma si cerca comunque di essere ottimisti: “Sì, magari è una distorsione…” “Magari non è grave come sembra..”. Invece no, l’infortunio è grave, lo avevi capito subito e non volevi ammetterlo ma la risonanza magnetica non lascia dubbi: rottura del legamento collaterale, del legamento crociato anteriore e della capsula del ginocchio sinistro. È tutto vero, non è uno scherzo.

Ecco allora che mi arrabbio quando sento dire: “Il calcio è solo un gioco, perché ci perdi tempo?”.  Andatelo a dire a Diego o alla sua famiglia, quando l’hanno visto a terra con le lacrime agli occhi. Ditelo alla moglie e ai figli di Chivu, quando lo videro incapace di alzarsi dopo un colpo alla testa, in quel 6 gennaio di ormai tre anni fa. Ditelo a tutto il mondo quando vide il grande Ronaldo sgretolarsi sotto i propri occhi. Gli anni passano ma il brivido che percorre la schiena di un tifoso quando vede un giocatore a terra è sempre lo stesso, avversario o proprio beniamino che sia, non fa differenza. Il calcio non è solo un gioco e coloro che vanno in campo non sono undici pedine. Ecco allora che la grande macchina dello sport si muove. Sul web e sui giornali dichiarazioni di affetto e di incoraggiamento per il nostro Principe, non solo da parte della grande famiglia interista. Spiccano i messaggi di società come il Milan che dai loro siti ufficiali fanno gli auguri di pronta guarigione e degli avversari ed ex compagni di tutti questi anni di grande carriera. Non c’è niente di più bello nel vedere un intero popolo calcistico stringersi intorno a questo campione: segno che qualche buon sentimento esiste ancora in questo universo dominato soprattutto da polemiche, denunce, scandali, razzismo e chi più ne ha più ne metta.

In fondo, senza volerlo, è anche così che Diego Milito ci da una lezione, come è suo solito fare, in punta di piedi.  Lui, che viene definito da compagni e avversari un grande uomo  (“Se come giocatore è da dieci, come uomo è da undici”: Samuel Eto’o), che ci ha sempre abituato a compiere qualcosa di grande solo con l’impegno e il sacrificio, già nella notte magica del 22 maggio disse qualcosa che risulta quasi profetico: “Ma il bello del calcio è questo: che ti dà sempre una rivincita.” Diego quindi lo sa che il calcio non è un mondo a parte, che come il mondo vero certe volte picchia duro, ti mette alla prova, ti fa cadere a terra, ti fa male. Ma poi, improvvisamente, ti da la possibilità di rialzarti, di prendere le tue  soddisfazioni, di essere felice e soprattutto di vincere ancora. Quindi siamo fiduciosi: Milito avrà la sua rivincita personale anche questa volta, se la merita. E questo accade perché se al calcio dai tutto ciò che hai di buono, alla fine è lui stesso a ripagarti, nonostante ti metta in difficoltà. Se dai, alla fine ricevi. E non è forse questa, una grande metafora della vita?


 


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