Quelle rare volte che Marotta non azzecca una metafora
Se sul veronese Duda - al pari di quel precursore del compagno di squadra Faraoni - deve aver fatto presa la scuola di un certo Sergio Busquets, il mancato pareggio della Juve a Salerno non può invece che essere derubricato a causa di forza Maggiore. Col granata omonimo, autore prima dell'illusorio vantaggio campano e poi destinatario di un doppio cartellino giallo che non poteva non indirizzare la partita a favore dei bianconeri, anche grazie ad un redivivo Vlahovic.
Ma veniamo subito agli effetti collaterali del 2nd day after nerazzurro. In attesa della prossima sparata allusiva su Marotta - magari prontamente annacquata come l'ultima - di quel misirizzi di Ivan Zazzaroni (ho controllato bene: quell'epiteto non è un'offesa, bensì solo un vezzeggiativo affettuoso...), fa comunque specie un'altra sortita dialettica. Quella riconducibile ai massimi livelli societari nerazzurri che ha lasciato il sottoscritto a dir poco basito. Affermando che "(...) oggi siamo una lepre e una lepre deve saper schivare anche le fucilate dei cacciatori", Beppe Marotta fa intuire di essere così ligio alle regole da aver forse fatto propria anche la legge N. 157/92: quella che rende la lepre un animale cacciabile. E magari l'Ad Sport nerazzurro è, invece, un insaputo animalista... Fatto sta che se ne è uscito con una metafora sull'Inter capolista che il sottoscritto si permette di considerare errata perché partirebbe da un assunto opinabilissimo: cioè che la lepre debba essere PER FORZA preda di caccia di qualcuno e che i cacciatori debbano PER FORZA andare in giro a sparare anziché starsene a casa loro ogni tanto. Già ne esistono, a piede libero, di pistoleri un tanto al kg... O, meglio, appare discriminante - e mi scuso sin d'ora per il volgare ricorso ad un paio di efficaci francesismi - che si tenti di impedire alla lepre di potersi fare i cazzi suoi, zampettando libera ed indisturbata dove minchia le pare. E se per certe gazzelle in Africa ogni mattina, come sorge il sole, l'importante è che comincino subito a correre, in Lombardia - come in tutto il territorio peninsulare - non è proprio detto che certe bestiole si debbano destare col terrore di ricevere una scarica di pallini sul di dietro: "fucilate", secondo il verbo di Marotta. A maggior motivo se la cosiddetta lepre nerazzurra ha percezione che la masnada dei cacciatori sia a libro paga di qualcun altro per appartenenza alla "preclara" categoria dei prostituti intellettuali, se non degli sciacalli (Cavasinni dixit).
Esistono già i predatori in natura e la lepre solo da quelli dovrebbe sapersi difendere: usando la sua unica arma della velocità. Tradotto: metri, ossia punti di distacco in classifica sufficienti per non essere a tiro degli inseguitori... Tra i suoi nemici principali figurano senz'altro "l'aquila reale, la lince, il lupo, l'astore (che è un rapace simile al falco) e, soprattutto, la volpe" (cit.). Ma, checché se ne insista a raccontare, nessuno di questi sfoggia un manto o un piumaggio bianconero e men che meno rossonero. Che poi i predatori siano inclini a cacciare è un fatto secondo natura: assecondano il loro istinto di sopravvivenza. Mentre invece gli umani si dedicano alla cosiddetta arte venatoria per puro diletto. O, peggio - come nella fattispecie nerazzurra - su commissione. Quindi un po' "disturba" che Marotta se ne venga fuori con una metafora che quasi trasfigura i nerazzurri in una potenziale vittima sacrificale. Ammesso e non concesso che sia dunque "convenzionale" rappresentare la capolista Inter come una lepre, in natura è, però, pieno di quegli esemplari che riescono a farla franca. Se poi gli effetti dello scampato pericolo si protraessero fino all'imbrunire di un giorno di maggio, sarebbe tanto di guadagnato. Magari grazie anche a qualche eventuale "vittima" collaterale di fuoco per forza nemico...
Orlando Pan