Sulla riva del fiume
Cerco di non farmi tradire dal tifo. Voglio essere obiettivo. Ma non riesco a non sentirmi particolarmente orgoglioso di essere onestamente interista. Inutile girarci attorno: le cronache di questi giorni per noi non costituiscono una clamorosa novità. Si tratta, come nel caso di Buffon, della conferma di situazioni che nel mondo del calcio sono note da tempo. Come giornalista sono sempre stato davvero un garantista, nel senso tecnico del termine. Molto spesso, infatti, nelle cronache si sbatte il mostro in pagina, salvo poi fare marcia indietro con un trafiletto, quando il clamore di un arresto o di una soffiata si sgonfiano.
Qui sta però accadendo il contrario. Ossia tutti cercano di coprire, minimizzare, derubricare le notizie sul giro di scommesse e di malaffare. E’ una situazione imbarazzante e a lungo andare insostenibile. Da quel che è dato sapere – anche leggendo una minima parte dei documenti resi pubblici – esiste una rete consolidata di criminalità che agisce da tempo quasi indisturbata e colpisce a tutti i livelli, dal calcio minore fino alla serie A, allo scopo di arricchire sia gli scommettitori che i calciatori coinvolti. Tale fenomeno, endemico nel calcio, ha superato il livello di guardia e fortunatamente alcune Procure hanno agito secondo legge.
Ora si entra nella fase più calda e complessa, con il doppio canale, quello della giustizia ordinaria e quello della giustizia sportiva. Quest’ultima è chiamata a giudicare subito sulla base delle regole condivise dalle società e dai suoi tesserati, e dunque non è necessaria la rilevanza penale dei fatti accertati. Quello che invece è fondamentale è che i fatti siano veri, e quando ad esempio si assiste a un diffuso ricorso al patteggiamento, significa che l’ammissione di colpevolezza, da parte di chi patteggia, è acclarata e priva di qualsiasi dubbio.
A me sinceramente interessa poco, oggi, almanaccare sulle possibili conseguenze in termini di classifica, partecipazione alla Champions League, oppure ai preliminari di Europa League. A me, tifoso nerazzurro, sta a cuore adesso solamente una cosa: sapere (e lo sappiamo per certo) che l’Inter - come società e come singoli calciatori, dirigenti, allenatori – è totalmente estranea a qualsiasi addebito. Mi rendo conto che questa semplice affermazione fa infuriare i tifosi del Milan o della Juventus, solo per citare i rivali di sempre. E soprattutto mette in crisi le prostitute più o meno intellettuali, e gli “opinionisti” (si fa per dire) dei programmi televisivi, con effetti comici involontari quanto irresistibili. Ma è la verità.
E aggiungo: se per caso dovesse emergere, anche in futuro, in modo certo e documentato, che uno dei nostri campioni è coinvolto nello scandalo, ho la netta sensazione che nessuno di noi lo difenderebbe, se non nel senso delle doverose garanzie previste dalle leggi. Anzi, saremmo sicuramente i primi a chiedere pulizia immediata e drastica. Perché questa è l’Inter. E’ l’Inter di Facchetti. E’ l’Inter dell’avvocato Prisco. E’ l’Inter di Moratti. Forse è troppo facile dirlo, sapendo – come sappiamo – di essere fuori da questa bufera dagli sviluppi a dir poco deplorevoli. Ma è così.
E oggi è importante rendersene conto e dirlo, ovunque, con semplicità e senza rancore. Ma con quel sottile piacere di chi, adesso, può mettersi sulla riva del fiume e attendere. In tutta tranquillità. Passeranno tutti di qui. Certo, ricostruire il calcio sulle macerie di questa vergogna sarà difficile. Ma è curioso constatare come noi, adesso, possiamo occuparci serenamente di calcio mercato, di campagna abbonamenti, di ritiro a Pinzolo, di qualche piacevole festa estiva tra amici.
Il danno più rilevante che il calcio sta ricevendo in queste settimane non è infatti legato alla gravità dei fatti che stanno emergendo, quanto piuttosto all’indegno tentativo di negarli, di coprire le responsabilità, di mandare agli Europei una squadra il cui prestigio rischia di essere definitivamente compromesso. L’assenza di qualsiasi giocatore nerazzurro nella rosa di Prandelli (che passerà alla storia come quello degli “sfigatelli”), a questo punto assume quasi una valenza simbolica. In passato, bene o male, sono sempre stato un sostenitore della Nazionale, magari ingenuamente, ma senza badare troppo alle provenienze dei singoli giocatori, o dell’allenatore (eppure avrei avuto buoni motivi di scetticismo, specie di recente). Adesso mi rendo conto di non sapere neppure esattamente quando giocheremo le nostre partite. Immagino che sia una situazione condivisa da molti tifosi interisti. E’ un peccato, ma non è colpa nostra.
E’ abissale, stridente, ad esempio, la distanza oggi fra la nostra corale soddisfazione per il contratto triennale ad Andrea Stramaccioni (annunciato quasi per caso dal Presidente Moratti, con assoluta nonchalance) e la grancassa bianconera, con un tronfio Andrea Agnelli accanto a Antonio Conte, anche lui con un contratto triennale firmato in coincidenza con le notizie giudiziarie. La differenza è la misura della nostra diversità. Noi non siamo quella roba là. E io stasera sto benissimo. Sulla riva del fiume.