Un limite morale non impugnabile
Tecnicamente la sentenza pronunciata ieri dalla Corte d'Appello di Napoli non è passata in giudicato. Tecnicamente. Di fatto, invece, mi pare che le motivazioni depositate l'altro ieri dalla Corte d'Appello di Napoli su Calciopoli possano comunque costituire un punto di svolta invalicabile su tutta la vicenda. Una sorta di limite morale e dialettico non impugnabile, non in base a principi giuridici, ma in base a quelli del buonsenso. Il buonsenso, e forse la buonafede, che, durante questi anni, sono mancati non solo ai protagonisti della vicenda (Moggi, Giraudo, Pairetto, De Santis per citarne alcuni), ma soprattutto a chi l'ha commentata, gestita, a chi ne ha fatto urla, calunnie, diffamazioni e vigliaccate.
Il punto invalicabile di cui si diceva dovrebbe, da oggi, impedire, per questioni di serietà e credibilità, di sproloquiare a vanvera su Facchetti, su Guido Rossi, su fantomatiche prescrizioni e fantomatici scudetti. Occorrerebbe, a questo punto, farsi prendere da un dubbio, piccolo, ma tagliente, circa l'esistenza di una realtà che, secondo i Giudici, è nata, si è sviluppata ed ha operato negli anni - attraverso Moggi e la sua banda - barando nel calcio. Barare nello sport e nel calcio in particolare, vuol dire tradire tutto e tutti, finanche se stessi, il proprio lavoro, la propria attività; barare vuol dire stuprare i sogni di milioni di tifosi, appassionati ed operatori, il tutto senza vergogna, nè dignità.
Voltare realmente pagina vorrebbe dire, perlomeno, abbandonare argomentazioni stupide e velleitarie come quelle che, per tutto questo tempo, hanno identificato Guido Rossi come l'interista artefice della retrocessione della Juventus o Facchetti quale figura complementare a quella di Moggi o, ancora, l'Inter quale compagine salvata da una fantomatica prescrizione. Bisogna dire la verità alla gente, a tutti. La retrocessione della Juventus fu una sanzione forse pure troppo mitigata in relazione all'organizzazione criminale che Moggi, a leggere la pronuncia, aveva costruito. Facchetti, come l'Inter, come la maggior parte delle squadre del campionato di seria A, in nulla contribuivano, la società f.c. Internazionale non si è mai avvalsa in alcun processo dell'istituto della prescrizione. Mai.
Di prescrizione parlò Palazzi in alcune carte postume e non ufficiali strumentalizzate, poi, da chi pensava di salvare la propria credibilità e quella di qualche altro adepto gettando fango su Giacinto Facchetti e sulla mente di milioni di appassionati che hanno stancamente ripetuto per anni gli stessi ritornelli senza sapere di cosa si stesse realmente parlando. Senza sapere che i primi ad essere stati presi in giro per quelle vicende siamo stati noi, io stesso, il tifoso del bar qui sotto, tutti i tifosi d'Italia, e più di tutti quelli della Juventus. Già, i tifosi della Juventus che si sono sentiti vittime sacrificali della rabbia dei tifosi delle rivali storiche, ma che non hanno mai compreso di essere stati vittime innanzitutto di chi non voleva bene alla Juventus ed anzi procurava a quella stessa società danni irreparabili, economici e d'immagine. I tifosi della Juventus che seguono tenacemente il loro presidente in una crociata persa in partenza, senza capo, nè coda, una crociata fatta di insulti, rivendicazioni superficiali e prive di supporti giuridici e morali.
Una crociata la cui deriva tragicomica e triste raggiunge il suo culmine con l'accoglienza riservata a Thohir detto "Jakartone". Una crociata senza senso o, peggio, con il senso sbagliato, perchè, se contro qualcuno andava lanciata, questo qualcuno avrebbe dovuto avere il volto di Gianni Agnelli che, invece di ripudiare quel passato, lo ha sempre rivangato nostalgicamente ed orgogliosamente, il volto di Lapo Elkann che ha lo stesso identico atteggiamento o quello del piccolo John che lo ribadisce. Una crociata di anni e anni in cui nessuno crede o dovrebbe credere, in cui non crede nemmeno il loro condottiero. Quel Conte che in un momento di rabbia ripudia quegli scudetti, e con loro le battaglie pro-Moggi condotte in questi anni, fornendo ingenuamente l'esempio di quello che, sin da principio, al di là di ogni sentenza, tutti, juventini in primis, avrebbero dovuto fare. Per amor proprio, per amore della loro squadra e per amore del calcio. Con buona pace di tutti.
Giancarlo De Cata