Conte con una frase ha cambiato la partita. Lautaro, ecco Dr. Martinez e Mr. Toro. Brozovic non finisce mai
A Marassi sta per scoccare l'ora di gioco quando l’Inter si arrocca in difesa per contenere le avanzate della Sampdoria che dopo l’espulsione di Sanchez e il gol di Jankto ha ripreso forza. In panchina Antonio Conte si sbraccia, corre lungo la linea laterale e lotta con la striminzita area tecnica che non riesce a contenere la sua foga. Oltre alle indicazioni tattiche, urla una frase: “Dimostriamo quello che siamo”. La squadra prende coraggio e spinta dalla qualità dei suoi migliori giocatori, ricomincia a macinare gioco. Sensi conquista un fallo d’astuzia, da cui Brozovic disegna una traiettoria per l’inserimento di Gagliardini. Sbaglia il controllo, Audero sbaglia a sua volta e il 5 è bravo a ribadire in rete la palla della tranquillità. Da lì, l’Inter rimette le mani sul volante e la squadra di Conte guida il ritmo della partita senza subire oltremodo. Sono sei vittorie consecutive e, al di là dei record statistici che hanno una valenza simbolica, quella di Marassi è stata una prova simbolica di come fra le mura di Appiano Gentile si stia forgiando una squadra forte, resiliente, in grado di sopravvivere a qualsiasi eventualità. Perché il gol di Jankto avrebbe ucciso un elefante, ma l’Inter di Antonio Conte è sopravvissuta.
5 SENSI - Le note positive sono tutte racchiuse in un primo tempo dominato fisicamente e mentalmente dagli ospiti. Conte cambia sei giocatori rispetto alla Lazio, con due esordienti dal primo minuto (Bastoni e Sanchez) e una coppia d’attacco inedita: il risultato non cambia. Dopo qualche minuto di ricerca delle posizioni, i nerazzurri sono bravi a mettere alla berlina tutte le incongruenze del calcio doriano - arrivando spesso al tiro e sfruttando il movimento veloce della palla per cogliere impreparata la squadra di Di Francesco, per l’occasione schierata a specchio. Inutile dire che è Stefano Sensi ad accendere l’Inter: a ogni sua giocata corrisponde una reazione esagerata in termini di applicazione sul campo. Se vedi il dodici in possesso, sai che sta per succedere qualcosa. Sensi è bravo a cercare la verticalità e la porta con una determinazione sconcertante. I gol nascono da quella voglia feroce di conquistare il pallone e guadagnare metri. Più di chiunque altro, Sensi è l’uomo di Antonio Conte. E sta dimostrando tutto il suo potenziale.
DR. LAUTARO E MR. TORO - Martinez ha vissuto una partita strana, a Marassi. È entrato subito nelle trame di gioco, con delle sponde intelligenti e una serie di spunti personali importanti, da calciatore di qualità. Su tutti, un tunnel a centrocampo e il delizioso tocco di prima a mettere in porta Candreva, in fuorigioco di mezzo centimetro. E qui siamo di fronte al professore, al Dottor Lautaro che - pur nella sua confusione - ha messo a ferro e fuoco la difesa della Sampdoria, vincendo ogni duello e mostrandosi la punta necessaria allo sviluppo della manovra. Più ci si avvicina alla porta di Audero, tuttavia, più la fisionomia del nostro cambia e si trasforma in qualcosa di simile a Mr. Hyde: il Toro non riesce a segnare. Anche ieri ha avuto delle ottime conclusioni a disposizione, che a onor del vero è stato bravissimo a crearsi: ma non centra mai il bersaglio grosso. È come se gli mancasse un pizzico di cattiveria, come se il suo chip tiltasse quando si tratta di finalizzare il lavoro infinito che svolge nei primi 80 metri di campo. Eccolo, Mr. Toro scornato: bollarlo come brocco, addossargli colpe non sue (come l’espulsione di Sanchez, seguente a un suo errore a tu per tu col portiere) è controproducente. Conte apprezza il giocatore, ma adesso si fida più di Lukaku - l’insostituibile. Quindi è giusto che sia uscito nel momento in cui si è dovuti correre ai ripari. Avrà occasione di rifarsi, magari già contro il Barcellona.
TESTA - Quel che è certo è che l’Inter quaranta minuti di patemi contro la Sampdoria ultima in classifica se li sarebbe fortemente risparmiati. È durata appena una manciata di minuti l’idea di Conte di potersi gustare un secondo tempo a risparmio energetico, di gestione. Poi, l’imponderabile: la squadra si è fatta trovare pronta. A cominciare dalla linea difensiva, con Skriniar a destra che soffre solo in avvio (giallo esagerato, unico neo di una conduzione arbitrale ottima) e un Bastoni sorprendente per personalità. Mette in porta Lautaro, alza spesso la testa e negli ultimi venti minuti arpiona qualche pallone sanguinoso in area di rigore. Ha vent’anni, all’ultimo ci si sono messi pure i crampi: Conte sa di poter contare anche su di lui. Uno squillo importante è arrivato anche da Gagliardini, in cerca di riscatto dopo il magro esordio in Champions League: sembra passata una vita, era dieci giorni fa. Gaglia è caparbio, tiene botta sotto sforzo e conferma che, quando rimane dentro la gara, ha il tempo d’inserimento necessario per fare male. Una conclusione finale per il solito, interminabile Marcelo Brozovic: il leader calmo di una squadra in evoluzione, l’unico che non ha ancora riposato un attimo. Ieri ha indicato la via per l’uno a tre e ha conservato gelosamente ogni pallone che gravitasse dalle sue parti. Insieme a Lukaku, nel finale, è stato uno dei più lucidi. Ora potrà andare a prendersi la rivincita a Barcellona, dove l’anno scorso il Camp Nou l’ha visto solo sparring partner di una squadra più forte. Ora i blaugrana scricchiolano, l’Inter ha fame. E domenica a San Siro arriva la Juve.
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