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Gosens: "Ho giocato nell'Inter, sono orgoglioso della mia carriera. Ma a Berlino sono caduto mentalmente"

di Christian Liotta

Nel corso di una lunga intervista rilasciata a Cronache di Spogliatoio, Robin Gosens, ex terzino dell'Inter oggi in forza alla Fiorentina, racconta molto di sé anche dal punto di vista extracalcistico, soffermandosi anche sui suoi studi in psicologia, sull'aspetto mentale e sui problemi da lui affrontati. Quando gli viene chiesto se gli è mai capitato di pensare di poter aver gestito in maniera migliore alcune situazioni, il tedesco replica: "Lo dico onestamente, ho evitato di rispondere a certe domande perché vuol dire confrontarsi con te stesso e trovare risposte sul tuo passato che qualche volta possono essere non piacevoli. Ho scelto di fare questa analisi dopo la carriera, ora mi aiuta molto il fatto di essere orgoglioso di quello che sto facendo. Ho giocato per l'Atalanta, per l'Inter, per l'Union Berlino e adesso sono a Firenze. Sto facendo una carriera importante e non voglio perdere soddisfazioni pensando a cosa potevo fare diversamente".

Prima dell'approdo a Firenze, Gosens è tornato in patria, vestendo come da lui ricordato i colori dell'Union Berlino. Ma durante la scorsa stagione, ha vissuto momenti davvero difficilissimi: "Durante la scorsa stagione sono caduto mentalmente. Ero a Berlino, la mia famiglia non si trovava bene. Già al campo le cose non andavano per il verso giusto, quando tornavo a casa c’era negatività. La mia psicologa è stata fondamentale. Conoscendomi, senza sarebbe stata ancora peggio. In quel periodo lì tutti i giorni facevo una videochiamata con lei. Se non avessi avuto la mia psicologa, e la consapevolezza del mio percorso universitario, forse sarebbe stato molto peggio e sarei caduto in modo diverso. Non siamo soltanto giocatori di calcio, ma siamo esseri umani. Sembra banale, ma non lo è. Quando non sono stato convocato per gli Europei, mi è crollato il mondo addosso. Quando Julian Nagelsmann mi ha chiamato dicendo che non sarei stato convocato, mi è crollato il mondo. Avevo fatto una bella stagione a livello personale, mi chiedevo ‘Perché no?’. Ho pianto, non mi nascondo. Ho intensificato il percorso con la mia psicologa. Ero tornato in Germania per questo. Ci tenevo tanto: sono tornato in Germania con aspettative enormi e andare in Nazionale. Volevo fare la differenza, far crescere i ragazzi. Invece non vincevamo mai. Mi ha toccato tanto, ancora ci penso spesso, se potevo fare una cosa diversa. Se potevo far qualcosa per evitare la situazione. Ancora non ho trovato la risposta. Non ci trovavamo bene, era troppo. Lì ho sofferto, forse ha influito anche sul campo. Arrivi a un certo punto e non puoi più gestire quella negatività. Non sono riuscito a dividere la sfera professionale da quella familiare. Ho parlato tanto con mia moglie: è stato importante perché qualche volta la gente sceglie di non parlare. Invece per fortuna lo abbiamo fatto". 

Ma cosa farebbe Gosens per migliorare il sistema calcio, lui che intende diventare psicologo per lo sport? "Uno psicologo al seguito della squadra per me serve sempre, che sia lì solo per la squadra. Tanti giocatori non vogliono aprirsi per paura che poi presidenti e allenatori vengano a sapere, ma con le pressioni di social e media serve sempre qualcuno che sia sempre lì per i ragazzi, che funga da punto di riferimento dove andare anche solo per venti minuti a parlare e liberarsi avendo al tempo stesso la sicurezza che lui lavori solo per i calciatori". 

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