Josep Martinez a cuore aperto: "Ecco come nasce il soprannome Pepo. Iker Casillas il mio riferimento"
Intervenuto ai microfoni di Inter TV per l'episodio 'Welcome Home', nuovo format by Betsson Sport dedicato ai nuovi acquisti di casa Inter, il neo-portiere del Biscione, Josep Martínez si racconta a 360 gradi.
A quanti anni hai cominciato a giocare a calcio?
"A cinque anni"
Hai mai praticato altri sport?
"Sì, tanti. Mi piace il tennis, il padel, il mare… Facevo un po’ di surf quando ero piccolo. Questi sono li sport che mi piacciono di più. Ma ne seguo anche altri: mi piace la MotoGp, la Formula 1. Mi piace seguire tanti sport, anche il calcio. Soprattutto quando c’è qualche spagnolo, tifo per loro".
Se non fossi stato calciatore cosa ti sarebbe piaciuto fare?
"Non lo so, forse il fisioterapista per lavorare sempre nel mondo del calcio".
Tuo papà ti ha trasmesso l’amore per il calcio?
"Sì, è lui che mi ha trasmesso la passione per il calcio".
Ti ricordi il primo campo in cui hai giocato?
"Era un campo della cittadella, il campo era durissimo. Lo ricorderò per tutta la vita".
Tuo calciatore preferito da bambino?
"Sicuramente Cañizares, portiere del Valencia, mitico. Poi quando sono stato più grande Casillas. È un riferimento per me e un mito".
Ci racconti la tua esperienza al Barcellona?
"Giocavo nella mia cittadella, avevo circa 17 anni, e mi hanno chiamato lì per fare una prova. Sono stati due anni in cui ho imparato tantissimo, non solo nel calcio ma anche per i valori che ho imparato lì. Credo sia stato lo step più grande della mia carriera".
L’evoluzione del mio ruolo?
"Ho avuto fortuna di giocare in club in cui il ruolo del portiere moderno era principale e questo mi ha fatto crescere anno dopo anno".
Ti definiscono intuitivo. Perché?
"Mi definiscono così, a me non piace esserlo, né come calciatore né come persona. Alla fine un portiere deve essere reattivo e pronto".
Una persona particolarmente importante?
"Il mio primo allenatore dei portieri che ho avuto a Barcellona mi ha fatto imparare tante cose, mi ha dato la strada da seguire per essere professionista".
L’insegnamento più importante che hai appreso e da chi?
"Bella domanda… A Las Palmas a 20 anni quando ho iniziato a giocare in prima squadra e sembrava fossi il nuovo Casillas per la Spagna… Tutto andava bene, poi ho avuto un infortunio che mi ha tenuto fuori per mesi. Questa cosa mi ha fatto imparare che non è sempre buono ciò che dicono da fuori e devi sempre stare sulla tua strada senza sentire ‘i rumori’ che provengono da fuori".
Cosa ti piace fare oltre il calcio?
"Fuori dal calcio mi piace stare con la mia famiglia, fare passeggiate e fare shopping. Poi mi piace anche la PlayStation e stare vicino ai miei amici che non vedo sempre e stanno lontani".
Un pregio e un difetto tuo:
"Il mio pregio è il coraggio, il difetto è che sono testardo".
Il tuo soprannome di ora?
"I miei amici mi chiamano Pepo. L’ha inventato un mio compagno del Las Palmas. Un giorno scherzosamente mi ha chiamato così: da quel momento sono passati sei anni, ma il soprannome è rimasto per tutti".
Quanto è importante lo spogliatoio?
“Tantissimo. Il calcio è uno sport speciale: se hai una brutta giornata sai di avere dei compagni che ti possono aiutare a crescere e che contribuiscono anche al tuo miglioramento… Questi sono valori veramente importanti, non solo per lo sport ma anche per la vita”.
Nel calcio conta di più il talento o la determinazione?
“Sicuramente il lavoro, la determinazione. Il talento può farti arrivare, ma per rimanere lì devi avere quella disciplina. Ho visto tanti giocatori arrivare in quella posizione, ma non avendo la determinazione di non perderla. Nel calcio se abbassi l'attenzione, ti superano: nel calcio è molto importante la disciplina".
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