Ranocchia: "Il mio 2012 orribile, ora vinco con l'Inter. I trionfi di Mou..."
Il difficile momento dell’Inter, alle prese con una catena di infortuni che non accenna a spezzarsi e di risultati negativi a pioggia, ma anche alcuni aneddoti del suo vissuto calcistico: Andrea Ranocchia parla di tutto questo nel corso di una lunga intervista rilasciata al settimanale della Gazzetta dello Sport SportWeek realizzata da Gianfelice Facchetti, che qui vi proponiamo. Partendo da un aneddoto: quando gli è stato proposto di fare un servizio fotografico davanti alla sede del quotidiano, lui si è subito premurato di chiedere che si facesse in fretta, “perché non vorrei che qualcuno si fermasse a dirmi di andare all’allenamento anziché fare foto”.
Hai mai trovato rompiscatole che ti apostrofassero per strada?
“Dovunque ho giocato, sia che le cose andassero bene o male, il rapporto coi tifosi è stato buono, sono sempre stati corretti. Qui a Milano l’anno scorso, forse il più difficile per me da quando sono professionista, ricevevo soprattutto parole di incoraggiamento. Insulti? E’ capitato, ma faceva e fa parte del gioco: per me lo sbaglio diventa comunque un’opportunità per crescere e migliorare. Se restassi lì a rimuginare sarei perduto”.
Sul tuo sito c’è una citazione di Albert Einstein che definisce l’errore come “benedizione”
“E’ così, sono convinto di essere maturato molto più nella scorsa stagione che in tutta la mia carriera”.
Ci sarà pur qualcosa che ti darà fastidio nei giudizi sulle prestazioni?
“Non sopporto quando le valutazioni scivolano dal piano tecnico a quello personale: di colpo, a volte, sembra che uno sbaglio abbia il potere di far dimenticare quanto di buono ho fatto sin qui. Questo non lo accetto”.
Questo ti rende più umano, però l’etichetta del bravo ragazzo è difficile da togliere: sei di poche parole, se ti criticano sai incassare, esulti con pudore dopo un gol. La dedicherà mai il Time una copertina ad Andrea Ranocchia?
“Chi lo sa (ride)… La mia maniera di stare in campo riflette le mie origini: vengo da Bastia Umbra, paese di operai e contadini, un posto speciale con una mentalità speciale”.
Nasce lì il segreto di questa normalità?
“Io ho sempre inseguito la mia passione, sin dai primi calci. Non avevo in mente né fama né gloria, solo continuare a coltivare con pazienza il mio piccolo sogno”.
Comunque sei in un mondo dove eccessi e capricci fanno decisamente più rumore.
“Prima di arrivare a giocare nell’Inter, ho avuto la fortuna di passare per gradi attraverso varie tappe: Arezzo, Bari, Genoa… Sono diventato grande potendo contare sempre sulle amicizie di una vita e sull’apporto della famiglia. Quando mi sono trovato in alto, ero già cresciuto”.
Ma davvero non hai mai immaginato neanche lontanamente di sbarcare un giorno in Serie A?
“E’ solo un processo naturale a portarmi sin qui, quasi non me ne sono accorto. Solo le figurine avevano il potere di farmi volare con la fantasia, ogni tanto le guardavo e dicevo: ‘Vorrei finire sopra una di queste’”.
Quando hai realizzato di avere qualcosa in più dei tuoi compagni?
“E’ stato bello non accorgermene mai: a ogni preparazione mi presentavo, alla fine giocavo sempre e intanto avanzavo”.
Poi un giorno ti sei accorto che era tutto vero…
“Ero nel Bari e affrontammo il Milan, avrei giocato contro il mio mito: Alessandro Nesta. Passai tutto il riscaldamento a guardarlo con gli occhi di un bambino, lo studiavo… Ero più preoccupato di chiedergli la maglia che di giocare la partita. Sul Time in copertina ci metterei lui, un autentico esempio”.
All’Inter hai avuto come mentore Marco Materazzi, di cui hai ereditato la maglia numero 23.
“Quando Marco era capitano del Perugia, facevo il raccattapalle allo stadio Curi. Mi ha sempre aiutato, ancora prima che vestissi questa maglia: avere il suo numero è un grande privilegio”.
E’ così pesante l’eredità dell’Inter di Mourinho?
“Ho avuto l’opportunità di allenarmi e giocare con la maggior parte di quei campioni: per questo credo fortemente che quel lascito di successi debba servire a noi per risollevarci in fretta”.
Ti aspettavi di vincere qualcosa in più in questi due anni e mezzo?
“Il bilancio della mia esperienza in nerazzurro è altalenante, posso e voglio dare molto di più. Sin qui ho vinto una Coppa Italia, e una squadra con una storia simile non può rimanere all’asciutto per troppo tempo. La mia sfida è questa: voglio vincere con l’Inter”.
Cosa te lo ha impedito sin qui? La sfortuna?
“Non credo alla scaramanzia, è una cosa che non va d’accordo con la mia fede. Il 2012 è stato disastroso, tra infortuni, incomprensioni con Ranieri e il coinvolgimento spiacevole nella vicenda del calcio scommesse… Pensavo che l’anno non finisse più. Oggi sarei più pronto a venirne fuori”.
Leggi molto?
“Vado a periodi, mi piace Coelho anche se un po’ ripetitivo. Lo dico sottovoce: mi sto cimentando col Simposio di Platone…”.
Complimenti. Ultimo film?
“Skyfall, sono un patito di 007, passione ereditata da mio padre Marco. Io lo chiamo Bond, sul cellulare ho scritto così il suo nome”.