Stramaccioni: "Allo Stadium la vittoria dell'Interismo. Ecco perché dopo il derby dissi 'è vostro' alla Curva Nord"
Andrea Stramaccioni è l'ospite del pomeriggio di SkySport durante 'Casa Sky Sport'. Tanti i temi trattati dall'ex tecnico dell'Inter, dove spiccano anche ricordi nerazzurri dopo l'esperienza in panchina dal 2011 al 2013 tra Primavera e Prima Squadra. Strama è però partito dalla grande testimonianza d’affetto in Iran al momento dell'addio: “Una cosa bellissima, incredibile. Li ringrazierò sempre. Il legame di questi 6 mesi deduco sia andato oltre il calcio, oltre la bassa posizione in classifica. L’affetto è andato oltre, forse per qualche litigata qua e là che ho fatto e li ha rappresentati”.
Crearsi una carriera dal allenatore dopo l’addio al calcio da giocatore non è facile.
“Andai via di casa a 14 anni per giocare con il Bologna, sognavo di diventare un giocatore. I miei non mi hanno mai fatto smettere di studiare e il sogno del calcio sul terzo infortunio al ginocchio si è spento. Poi si è aperta la passione per il ruolo dell'allenatore e ho coronato il sogno della Serie A. L’Iran non me lo sarei mai aspettato, ma la Serie A era una cosa che sognavo”.
Poi arriva la chiamata di Massimo Moratti e la stagione 2012/13 alla guida della Prima Squadra dell’Inter:
“La chiamata dell’Inter è stata una grande soddisfazione, non è facile per un allenatore che arriva da un settore giovanile. Nell’anno in cui iniziava la 'Champions sperimentale' abbiamo avuto la fortuna di vincerla con la Primavera e questo ha attirato l’attenzione del presidente. Per l’Inter era un periodo sfortunato con uno dei miei maestri, Gasperini - e che aveva come vice Juric - e poi con mister Ranieri che avevo avuto a Roma: purtroppo sono andati male. Il presidente decise per questa fantastica follia che ha cambiato la mia vita. Non era una squadra normale, era piena di campioni. E io ero un giovane allenatore appena uscito da Coverciano (ride, ndr)”.
Sulla leggendaria vittoria dello Stadium contro la Juventus:
“L’apoteosi. Fu una partita particolare, la Juve era imbattibile allo Stadium, un’armata che giocava un grande calcio. Quella vittoria ti fa capire l’importanza dei giocatori che allenavo: solo dei campioni possono vincere così a Torino. Quella vittoria fu oggetto di incomprensioni con Marotta, poi chiariti. In quella partita mi ruppi anche la mano perché sfortunatamente ero in linea nel gol di Vidal e ho visto i tre metri di fuorigioco. Poi c'è stata la non espulsione di Litchsteiner che poi Conte ha intelligentemente sostituito. Un gol di Milito è arrivato su uno schema su punizione, e questo mi ha dato soddisfazione. Il calcio ti dà e il calcio ti leva. Quella Juve era fortissima, avevano Chiellini, Pirlo, Bonucci, tanti grandi campioni. Adesso lo posso dire: abbiamo giocato spregiudicati e avevo convinto i ragazzi a giocare con Milito, Palacio e Cassano in attacco. Cosa non doveva succedere? Prendere gol. Poi ho pensato: ‘Porca vacca, qui finisce 6-0’ (ride, ndr). La vittoria è rimasta impressa a tutti anche per l’andamento, l’ho definita una vittoria dell’Interismo. C’è stato un momento post Triplete difficile e in quella partita i giocatori hanno messo in campo tutte le loro abilità, così come nel derby vinto che non permise al Milan di vincere lo Scudetto”.
C’è stato qualcosa che vi ha bloccato nel girone di ritorno?
“Una serie di fattori. In questa partita giocavamo con tre dietro e si fecero male Samuel e Ranocchia. Andammo a Bergamo con la formazione stravolta, arrivò una sconfitta di misura per 3-2 dopo 10 vinte. Gli infortuni hanno fatto mancare qualche certezza, specie quelli dei giocatori chiave, in una squadra che aveva trovato la quadra. Poi è stato ceduto Sneijder, abbiamo virato sul 3-4-3: poi sono arrivati gli infortuni di Milito, Stankovic, Chivu e Zanetti, quest'ultimo forse era un segno del destino. Quello fu un tragedia perché per un giovane allenatore come me perdere quei giocatori voleva dire anche perdere dei pilastri nello spogliatoio. Questa crisi di infortuni ha portato difficoltà anche nella gestione. Poi il presidente Moratti stava cominciando a ‘condividere’, diciamo: facce non italiane iniziavano a visitare la Pinetina, mettiamola così. Lui con noi e con i giocatori cominciò a spiegare che la società era in vendita: immaginate il terremoto che può provocare in un club che vedeva Moratti come un papà, e parlo di giocatori e staff. C’era incertezza. Come terzo elemento ci metto la mia inesperienza. Sarebbero servite le spalle molto più larghe per gestire una situazione così”.
Una formazione di una squadra di calcetto.
“Parlo di chi ho allenato, senza estendere il discorso. In porta ho allenato Handanovic, forse il più forte della Serie A, ma scelgo Julio Cesar: impressionante. Giocava anche con i piedi e facevamo delle grandi litigate perché voleva fare la partitella sempre fuori, ma era pericoloso con Samuel davanti (ride, ndr). Poi ci metterei Zanetti, in avanti Di Natale e Milito. Come quinto ci metto Stankovic, a cui sono legatissimo. Cambiasso sesto uomo, se no ci litigo”.
Sul derby contro il Milan e il commento “è vostro” rivolto al pubblico.
“Ora si può raccontare con più serenità. Il Milan di Allegri era forte, lottava per posizioni importanti e la partita si mise subito bene con il gol di Samuel. Poi ci fu un gol annullato al Milan per un tiro di Montolivo deviato, che oggettivamente era fuorigioco. I milanisti si infuriarono, negli spogliatoi ci fu un po’ di caos che coinvolse tutti, compreso l’arbitro. Cose normali. Appena rientrati in partita il Milan parte all’arrembaggio e Nagatomo prende due gialli in poco tempo: questo condizionò la partita. La cosa che mi colpi è che la Curva Nord continuava a sostenerci nonostante tutto e io a fine partita esplosi perché vedevo l'andamento della gara come un’ingiustizia, anche se avevamo vinto. Quando andai a salutare l’arbitro mi trovai la Nord impazzita e il gesto fu spontaneo. Quella vittoria era anche merito loro, erano un portiere in più”.
Inter-Tottenham in Europa League e la pazza rimonta quasi completata. Che ricordo hai?
“Partita incredibile, eravamo in piena emergenza. I ragazzi mi avevano detto che a Londra sarebbe stata difficile contro il Tottenham di Bale: inizio shock e perdemmo 3-0, senza appello. Al ritorno, aiutati da San Siro, Palacio e Cassano fecero una grande prestazione e trovammo il 3-0. Cambiasso ebbe la palla del 4-0, uscì di niente. Il gol di Adebayor fu una doccia gelata nonostante il 4-1 di Alvarez. Ero triste, poi a fine partita il presidente Moratti sfondò quasi la porta della stanza dell’allenatore, mi abbracciò e mi disse che avevamo fatto una partita incredibile. Questa è la sua bellezza, un grande uomo anche nella sconfitta”.
Potresti tornare in Italia in panchina? Se sì, dove ti piacerebbe?
“L’Italia, sia per motivi d’affetto che per il campionato, resta una priorità. Sono andato all’estero per squadre importanti, in Iran mi attirava la possibilità di disputare la Champions asiatica. Cercherei una squadra giovane, con un progetto e con voglia di crescere. Penso solo che sia importante puntare su allenatore, ma conoscendolo. Consigli a qualcuno? Non mi permetto. Dico solo che per fare bene in qualsiasi club è necessario ci sia una comunione di intenti a livello di progetto. Da giovane spesso accetti tutto subito, ora che ho qualche capello bianco in più e qualche capello in meno, mi fermerei a chiacchierare di più con un ds. Mi riferisco di più all’estero, come allo Sparta Praga dove ho accettato per il blasone ma la vedevamo in un modo leggermente differente. E alla fine i nodi vengono al pettine”.