Zanetti: "Champions un sogno che si realizza. Sul 5 maggio e Facchetti..."
"Diciannove anni e 856 partite con la maglia interista. Record di partite consecutive giocate: 186. Una sola volta espulso, per doppia ammonizione. Tutto questo è il Capitano, Javier Zanetti, un uomo che sarebbe meglio definire nella sua lingua: hombre vertical, un uomo tutto d’un pezzo, con la schiena dritta, fiero e onesto. Un campione che ha saputo riportare l’Inter sul tetto del mondo ed è riuscito a farlo con tenacia, eleganza e sportività", questa la descrizione che si fa dell'attuale vice presidente dell'Inter, ospite di Alex Zanardi a 'Sfide' in onda questa sera su Rai3.
"Non mi sono mai arreso. La mia storia è la storia dell'Inter. Ero fiero di indossare la maglia nerazzurra ed anche la fascia da capitano. E più difficoltà incontravo più mi sentivo interista", si presenta così Javier Zanetti.
GLI INIZI - "Papà mi chiese cosa volevo fare da grande. Il mio sogno era diventare calciatore e dopo essere stato scartato dall'Indipendiente anziché mollare andai a giocare nel Talleres. Mi acquistò il Banfield ed infine arrivò la chiamata in Nazionale".
L'ARRIVO ALL'INTER - "Mi chiamò Passarella e mi disse che era arrivato un fax in cui diceva che mi aveva preso l'Inter. Arrivai a Milano passando tra i tifosi ed i giornalisti come fossi uno di loro. Poi mi videro sul balcone e rimasero sorpresi. Avevo con me solo una busta di plastica con dentro le scarpe da calcio".
BATTIBECCO CON HODGSON - "Ero arrabbiatissimo per la sostituzione. Stavo giocando bene, volevo giocare e vincere quella finale (di Coppa Uefacontro lo Schalke persa ai rigori, ndr). Hodgson mi disse qualcosa e si scagliò contro di me. Così iniziammo a litigare".
IL GOL ALLA LAZIO NELLA FINALE DEL '98 - "Urlai a Simeone di lasciare la palla, chusi gli occhi e calciai forte. Finì all'incrocio".
5 MAGGIO - "Nel percorso per arrivare allo stadio sembrava di essere a Milano. Roma era colorata di nerazzurro. Nel secondo tempo, quando pensavamo di vincere quella partita, accadde tutto il contrario. Finimmo in lacrime. In aereo c'era grande tristezza. Ma quella fu la dimostrazione che non si deve mollare. Per arrivare alla vittoria si deve passare dalle sconfitte".
IL RAPPORTO CON FACCHETTI - "Parlavo molto spesso con lui e mi diceva cosa voleva dire indossare la maglia dell'Inter. C'era un legame molto forte, anche con la sua famiglia. La sua presenza era molto importante per tutti noi".
LA DEDICA A GIACINTO - "Pochi giorni prima della finale di Supercoppa contro la Roma (vinta 4-3 dall'Inter che rimontò il 3-0 iniziale giallorosso, ndr), Facchetti ci aveva detto di dare tutto in quella partita. Dopo il pareggio capimmo che sarebbe bastato poco per vincerla. Al termine della gara chiamai Giacinto nello spogliatoi dicendogli che avevamo mantenuto la promessa. Dieci giorni dopo venne a mancare. Una notizia terribile. Ci fu una grande tristezza nel mondo calcistico a livello mondiale. Persone come Giacinto ce ne sono poche".
SU MOURINHO - "Stavo andando in Argentina per le vacanze, ero in aeroporto quando mi arrivò una telefonata: 'sono José Mourinho, tu sei il capitano dell'Inter, voglio dirti che sono il tuo nuovo allenatore'. Mai mi era capitato che un allenatore mi chiamasse per annunciarsi, è stata una cosa che ho apprezzato molto".
SEMIFINALE CONTRO IL BARCA - "In quell'occasione ho dormito a fatica. Il problema era il ritorno. Loro avevano tantissimi campioni che potevano cambiare la partita. Poi ci siamo ritrovati con un uomo in meno, al Camp Nou, contro dei mostri. Era davvero molto complicato, ma siamo andati oltre le nostre possibilità. Ci abbiamo messo più del cuore per raggiungere la finale. Negli ultimi 5', dopo il loro 1-0, il Camp Nou era una bolgia. Al 91' segnarono il 2-0, guardai Samuel e pensai 'siamo fuori'. Non ci eravamo accorti che l'arbitro aveva fischiato il fallo di mano. Dopo quella sofferenza ci fu la gioia di giocarsi la finale di Champions League".
SUL TRIPLETE - "Sono devoto a Santa Rita ed il 22 maggio era Santa Rita. La notte prima della gara io e Cordoba accendemmo una candela e anziché dormire guardavamo se rimaneva accesa. Al termine della gara avrei voluto abbracciare ogni tifoso che era lì con noi. Non ero più io, la mia faccia era trasformata. Avevo realizzato un sogno".