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Arrivare secondi non è un fallimento: la lezione di Sinn(t)er all'Italia

di Raffaele Caruso

Perdere una finale fa sempre male. Perdere quando vedi l'obiettivo davvero alla tua portata, più vicino che mai, è dura da digerire. Sinner ha fatto sognare l'Italia intera per una settimana, ha rifiutato il biscotto, la teoria barbara del complotto che ogni tanto spunta e rispunta nel mondo dello sport, arredendosi in finale contro quel Djokovic che poteva eliminare dal torneo perdendo appositamente contro Rune. Ha lottato fino all'ultimo secondo, pur scendendo in campo e ritrovarsi uno dei tennisti più forti di sempre nella sua serata migliore. La domanda sorge spontanea: davvero Jannik Sinner ha perso questa finale? Il tabellone dice di sì. L'albo d'oro pure. Sinner ha una carriera davanti e l'età è dalla sua parte. Vincerà titoli importanti, si consacrerà, ci farà sognare, ma per me ha già vinto. C'è un percorso condiviso con milioni di tifosi che regala emozioni che restano cucite addosso per tutta la vita. 

Così come l'Inter ha insegnato all'Italia intera, ma soprattutto a sé stessa, che pur perdendo una finale di Champions League contro la squadra più forte del mondo non per forza esci dal campo sconfitto. L'amarezza resta, ma quello che il percorso ti lascia te lo porti insieme per tutta la vita. Se arrivi secondo non è un fallimento. Questo mi ha insegnato qualche mese fa l’Inter in finale di Champions e mi ha ricordato questa sera Sinner. Spesso insegna più chi perde di chi vince. Perdere, accettare la sconfitta, giocarsela fino in fondo e alla pari contro giganti significa tanto. Conta il percorso. E le emozioni che vivi durante quel tragitto ti restano addosso per sempre.


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Domenica 15 dicembre