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Bentornato campionato, sono sempre io: la vecchia, pazza, bullizzata, ma un po' stronza Inter

di Egle Patanè

Cucù… Eccoci qua. Buon 2023 anche a voi, piccoli esimi ingenuotti. Sono io che parlo, la vostra cara e vecchia Inter. Quella che si complica la vita, che si culla quando non dovrebbe, che si esalta e fa esaltare prematuramente, fa un passo avanti e due indietro e cestina reiteratamente quanto di buono fatto nel capitolo precedente. La solita di sempre insomma. La solita Inter che mai per una volta si degna di approfittare le possibilità di mangiucchiare vantaggi da scontri diretti altrui né di cavalcare l’onda di entusiasmo che già da sé dovrebbe fungere da forza motrice. Filotto di vittorie consecutive, l’ultima bella davvero e non solo per i tre punti, quanto per convinzione, mordente, organizzazione, prestazione in generale servite contro il Napoli, interrotto da un orgogliosissimo Monza. Gli uomini di Palladino non stanno allo svantaggio ben due volte e ben due volte trovano il gol del pari e strappano via dalla tasca di Inzaghi due punti che sembravano ipotecati insieme all'unico punticino rimasto da portare a Milano insieme a delusione, rabbia e nervoso per una ics che ha tutti i toni della sconfitta. Due punti persi, non si dica 'consoliamoci con quello guadagnato': il primo pareggio dell'anno porta all'Inter un amarissimo retrogusto che rimette in discussione quanto detto e forse sognato nei tre giorni precedenti al primo derby lombardo della storia del campionato italiano tra le vicine Milano e Monza. 

Se c'è da chiedere scusa a qualcuno questa notte, oltre che a tifosi, classifica e sogno scudetto oggi piuttosto labile, ormai ampiamente messi alla prova in fatto di resistenza nel corso della stagione, quel qualcuno è Lautaro Martinez. Quell'indomabile giocatore che all'U-Power Stadium, a un mese e undici giorni dalla più grande gioia della sua carriera, ha ricordato a molti il perché abbia affibbiato addosso il soprannome di Toro. L'attaccante neo-campione del Mondo lotta, suda, corre, taglia il campo, recupera palloni, fa gioco sporco e segna pure: l'atteggiamento che tutti speravano avesse al rientro dal Qatar e che in molti pronosticavano senza restar, fortunatamente su questo, delusi. Per un Lautaro che brilla, in maniera inversamente proporzionale all'argentino, c'è un Lukaku che si rabbuia: lento e impacciato sono solo i primi degli aggettivi attribuibili al belga nel match di ieri sera al quale toglie smalto. Accorciata, quasi accartocciata, su se stessa, l'Inter post-cambio Lukaku-Dzeko perde ampiezza, verticalità e soprattutto possesso palla fino all'implosione culminata all'autogol di Dumfries (così almeno quanto decretato dalla Lega che ha attribuito all'olandese il tocco decisivo) al 93esimo. Una condizione fisica da rivedere, lontana anni luce da quella del primo Lukaku, al pari del giocatore stesso che oggi ha tutti i caratteri del sosia di quel Romelu conosciuto in quel lontano 9 agosto 2019. Errori tecnici, mollezza, incertezza, a tratti spaesamento, e incapacità di incidere... quantomeno in positivo. Nei 41 minuti giocati, Big Rom tocca soltanto 15 palloni, nessuno nell'area di rigore dei brianzoli. Un dato che la dice lunga sull'impatto dell'ex Chelsea alla partita, ma diciamola tutta all'intera stagione, falcidiata sì da un infortunio fastidioso e complesso, ma neanche lontanamente paragonabile alle aspettative. L'attesa di rivedere la LuLa in azione è servita ad aumentare un desiderio che oggi non sembra più fare la stessa gola di un tempo e che, con buona pace dei fantallenatori, lascia il posto all'intoccabilità del tandem Dzeko-Lautaro rodato e sicuro e che fino alla separazione aveva reso la squadra di Inzaghi bella, leggera e fino a quel momento vincente. LuLa decrescente come mai vista finora e a salvare quella che un tempo era tra le coppie più belle d'Europa è il solo Lautaro che da Monza torna a casa sfinito e senza giusta ricompensa.

Ricompensa questa strappata all'ex Racing come a tutta l'Inter anche da una pessima prestazione sottoscritta da Sacchi, probabilmente il peggiore in campo tra le due compagini. L'arbitro di Macerata non trova mai il vero equilibrio e/o strategia di direzione, passando sistematicamente da un metro di giudizio all'altro con la leggerezza di una piuma. Punizioni e ammonizioni generose e amnesie da dilettanti: giudica falloso un presunto intervento di Gagliardini su Marì, mai avvenuto. Lo spagnolo aveva difatti semplicemente incrociato il compagno Izzo, scontro che porta alla caduta del numero 3 del Monza e al fischio di Sacchi che sottrae alla squadra milanese il terzo gol, firmato Acerbi, che avrebbe cambiato non poco le sorti dell'intera gara. Una svista clamorosa che ai tempi del VAR non può essere giustificata, giustificazione che però arriva dal regolamento che nell'episodio specifico di ieri non ammette l'intervento del Video Assistant Referee. Il fischietto trentottenne commette difatti una sbavatura che fa a pugni con buon senso e tacite convenzioni: il presunto fallo per il presunto intervento incriminato dell'ex Atalanta viene fischiato prima che la palla pizzicata da un perfetto Acerbi entri in porta, ovvero prima che l'azione giunga a compimento, impedendo dunque la possibilità d'azione del VAR. Una mancanza d'accortezza non da poco che non può passare inosservata e sulla quale anche Inzaghi non riesce a tacere davanti a una decisione arrivata quasi come fosse un prurito insostenibile.

Inzaghi, a fine garia, furioso. Una furia che il piacentino scaglia su Sacchi, reo a suo avviso di privare la sua squadra di due fondamentali punti che oggi i nerazzurri piangono, secondo l'accusa, per errori altrui. Chiave di lettura comprensibile quella del tecnico a fine gara ai microfoni, ma che andrebbe altresì affiancata da un'autocritica che andrebbe a trovare, se correttamente somministrata, dei mea culpa altrettanto valevoli. Sostituire Dzeko toglie brillantezza e qualità alla squadra, colpa attribuibile però più a Lukaku che a Inzaghi, che a rigor di logica prova ad inserire forze fresche con quello che dovrebbe essere fino a prova contraria il valore in più di questa rosa. Il tentativo va male e le vere colpe dell'allenatore sono quelle post-Lukaku. Con il doppio cambio obbligato dei due centrocampisti più importanti della squadra l'Inter si ritrova ad un picco ipoqualitativo insindacabile, al netto della buona prova del subentrante Gagliardini. La squadra si ritrova a girare meno fluidamente e verticalmente, costringendo centrocampo e attacco (che con Lukaku era già al limite della bassezza) ad indietreggiare più e più volte. Baricentro abbassato e pressione avversaria in crescendo che neanche le forze rinnovate sugli esterni sono riusciti ad impedire. Varie ed eventuali che non possono banalmente essere annoverate alle casualità e che, bando al politicamente corretto, un allenatore dovrebbe vedere e prevedere e che così non è stato. Tradito da un inaffidabile Dumfries che ieri conta più danni che meriti, un Lukaku inesistente, un Asllani timido, Inzaghi viene pugnalato ancora una volta dai subentranti rivelatisi inadeguati, ma anche in questo caso c'è un però da non poter obnubilare: la coperta di centrocampo è corta e come, prova schiacciante ne sono le uscite anzitempo di Calha e Barella che mandano in tilt un intero sistema nervoso prima che calcistico e che, in caso di problema meno banale di ciò che al momento sembra, complicherebbero non poco la vita a Inzaghi e squadra. Un allarme da non sottovalutare che arriva giusto in tempo per sperare in uno squillo d'illuminazione tra i corridoi del The Corner ma che fa altresì da contraltare con la politica del risparmio al quale Marotta e Ausilio sono costretti ad aggrapparsi per il bene della sopravvivenza. 

Insomma, bentornato campionato di calcio, bentornato gennaio, bentornata gastrite. Io sono sempre qui, la solita vecchia pazza, sicuramente bullizzata ma anche un po' stronza Inter.


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