Brozovic come Icardi: chi vuole andare, vada. Chi non capisce l'Inter non è da Inter
Non ho mai avuto una particolare predilezione per i "baciamaglia" a convenienza, per i "ho tifato questa squadra fin da bambino" o per i "non andrò mai a giocare in quel club". Il calcio è uno sport, e come tale vive anche (se non soprattutto) di sentimento. Senza tifosi, il football non sarebbe nulla: ecco perché è impossibile far aderire perfettamente e senza pieghe la figura dello sportivo professionista a un qualunque altro tipo di professionista. Un conto è lavorare per uno studio legale o per un giornale, un altro è farlo per un club sportivo, che è sorretto prima di tutto dalla forza del cuore dei propri sostenitori. E allora, se proprio non possono essere tutti Zanetti o Totti, apprezzo la schiettezza di Ibrahimovic, che raramente si è lasciato sfuggire effusioni particolari.
Gli scenari cambiano, mutano la loro essenza. Capello te lo ritrovi dalla Roma alla Juve, così come Mourinho dal Chelsea allo United e Mihajlovic diventa rossonero saltellando al coro "chi non salta interista è". Higuain, insomma, non è altro che l'ultimissimo esempio che conferma il confine labile tra professionismo e sentimento. Il segreto, per non tradire, è restare coerenti. In questo caso, ogni scelta va rispettata anche se non condivisa.
Da qui la riflessione: Brozovic ha chiesto di essere ceduto? Che venga accontentato. Al giusto prezzo, s'intende. Ma che venga accontentato. Proprio per lo stesso discorso che si faceva su queste pagine al riguardo di Icardi, anche il croato venga lasciato partire se davvero è ciò che desidera. L'Inter è uno dei più grandi club del mondo e va rispettato. Soprattutto, va amato. La gente può essere incompetente a livello tattico, ma sa riconoscere quando un giocatore in campo dà tutto. Ed è disposta anche a perdonare errori tecnici se si esce dal campo avendo onorato la maglia. Badate bene: il mio non è un discorso populista, anzi. Ormai si disquisisce più di plusvalenze che di ruoli in campo, e sembra che ogni mezzo per arrivare al successo sia congruo. Così ci si tura il naso anche dinanzi a evidenti obbrobri, come accettare un calciatore nella propria squadra perché "ti fa vincere" anche se poi è un bieco simulatore oppure avallare la naturalizzazione di altri perché "almeno sono forti" in luogo di chi invece vorrebbe il passaporto con convinzione al di là che poi arrivi la convocazione in nazionale. Un discorso che magari paga nel breve termine, ma che poi alla lunga dà sempre torto e restituisce delusioni. Com'è giusto che sia.
I tifosi – quelli sani – meritano di avere in squadra gente che 'sente' la maglia, che davvero vuole stare dove sta. Gli altri vadano via. E non importa che si chiamino Mauro, Marcelo, Zlatan o Luis Nazario de Lima. Via. Alle condizioni corrette, ovviamente, ma via. E forse il grosso problema degli ultimi anni in casa nerazzurra è stato soprattutto questo: dare il giusto valore al sentimento. Perché chi non capisce l'Inter non è da Inter.