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Caccia alle spie: i perché insabbiati

di Fabrizio Romano

Spy story a Milano. Ormai quasi dieci anni dopo. Una sentenza che riporta tutto alla ribalta: l'Inter condannata a risarcire Christian Vieri di 1 milione di euro. Il protagonista è proprio lui, il buon Bobone. L'uomo che ha deciso da tempo di impugnare le carte e fare la guerra all'FC Internazionale, perché spiato all'epoca della sua permanenza in nerazzurro. Il tutto, nella vicenda legata ai dossier illegali della passata gestione di Telecom. Naturalmente, senza neanche impostare un discorso, i condor media italioti hanno colto la palla al balzo: è caccia agli spioni dell'Inter, possibile scudetto revocato, indignazione e vergogna. Assente (o insabbiata?) la lucidità di riflettere sul perché una società di questo spessore è dovuta ricorrere a tali metodi.

Partiamo però da come stanno le cose adesso. Il signor Vieri combatte una guerra personalissima legata alla violazione del diritto di privacy. Posto che l'Inter farà ricorso alla Corte d'Appello come comunicato dal direttore Fassone, restano da stabilire la posizione della società e soprattutto le motivazioni. Da specificare per onor di cronaca, che l'ex capo della security di Telecom e della Pirelli, Giuliano Tavaroli, ha confermato come un episodio fosse legato a controllo di una persona in spazi aperti, dunque all'epoca non percorribile penalmente; mentre un altro episodio riguardasse la Pirelli.

Avanza però un'altra grave dimenticanza da parte di chi ha urlato a revoche di scudetti (il colmo!) o a penalità legate alla giustizia sportiva per FC Internazionale. Innanzitutto, i fatti sono infatti in prescrizione dunque la situazione è totalmente bloccata. E per di più tutto era stato già preso in esame dall'Ufficio Indagini: dalla FIGC c'era già stata la risposta netta e chiara alle pressioni di Christian Vieri e agli altri protagonisti della vicenda spionaggio, era il 22 giugno 2007. La FIGC rese noto che "il Procuratore federale, esaminata la relazione dell'Ufficio Indagini a proposito di FC Internazionale, ha disposto l'archiviazione del procedimento, non essendo emerse fattispecie di rilievo disciplinare procedibili ovvero non prescritte".

Evidente dunque che parlare di giustizia sportiva in questo momento significa allargarsi. E ancor più evidente come sia essenzialmente folle parlare di possibili scudetti revocati per l'Inter, dato che con Christian Vieri tra le proprie fila la società non ha conquistato alcun titolo nazionale. Le motivazioni, poi, sono ben altra storia. Tutto questo - a favore dell'Inter - non toglie che il club voglia uscire assolutamente pulito da una vicenda in cui ci sono ancora tante ragioni poco reclamizzate mediaticamente. Perché se Vieri ha chiamato in causa il diritto alla privacy, l'Inter ha le sue motivazioni. Perché lo spionaggio resta un'attività squallida, ma evidentemente ultima carta da giocare per una società di tale prestigio. E qualcuno si è chiesto perché?

Troppo facile puntare il dito contro l'Inter, addirittura dando un'immagine accostata alla giustizia sportiva. Nulla di tutto ciò. Se la signora Melissa Satta - compagna del signor Vieri - nel 2009 nella propria deposizione non solo parlava di "problemi di insonnia", ma diceva anche altro. "Prima del settembre del 2006 (ovvero nel periodo all'Inter, ndr) uscivamo spesso, quasi tutte le sere e andavamo a feste, successivamente e anche oggi non lo facciamo più e comunque molto più di rado", una delle diverse dichiarazioni tutt'ora reperibili nel mondo del web. Un primo indizio verso le ragioni dell'Inter, che evidentemente all'epoca dei fatti ha avuto altri 'segnali'.

Perché il club pagava profumatamente un giocatore di primissimo livello come Vieri senza avere alcuna certezza sul suo comportamento fuori dal campo. Lo spionaggio non è l'attività più giusta da percorrere in tali casi, tutt'altro. Ma l'Inter ha voluto tutelare se stessa. Da qui nascono i perché: una società vuole essere sicura dei comportamenti dei propri giocatori. E se chi aveva il dito puntato era un soggetto specifico, le motivazioni diventano evidenti. La vita privata di Vieri all'epoca dei fatti era ritenuta "allarmante", i gossip pesavano quanto i gol. Così nasce un illecito ancora tutto da provare dopo il ricorso alla Corte d'Appello anche in base a quanto dichiarato dal signor Tavaroli. Ma un illecito che va nella sfera del diritto di privacy e non nella giustizia sportiva.

L'Inter è convinta delle proprie ragioni. E c'è un altro dei tanti perché insabbiati di questa caccia alle spie nerazzurre. La gravità essenziale dell'illecito starebbe nella posizione di una società che controlla tutti i suoi tesserati in modo non legale. Ma accanirsi contro Christian Vieri senza motivazione non avrebbe avuto alcun senso. Anche perché questa attività (lo ribadiamo, poco consona ma vista come necessaria in base alla situazione che si era venuta a creare) non ha trovato altri riscontri concreti. Aspettando nuovi passi avanti per questa storia, con assolutà serenità per l'ambito sportivo legato a FC Internazionale, qualcuno si ponga una domanda.

Perché non furono spiati - per dirne tre - Zanetti, Cordoba o Toldo? Mistero nel calderone della caccia alle spie. D'altronde, la macchina del fango contro l'Inter ha sempre grosso successo. Chiedendosi perché, ci si renderà conto che forse proprio tanto mistero non c'è...


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