Chi osa vince
Il titolo non è una citazione benchè possa sembrarlo. E' piuttosto la sintesi perfetta di questa partita, Come ha potuto un Inter tanto sbilanciata e imperfetta, vincere 4-0 contro un Udinese che ha avuto comunque tante occasioni da gol? E’ questa la domanda che in molti si sono fatti durante la partita. E, come di consueto, la risposta si è acidamente appoggiata all’ormai abusata fortuna di cui l’Inter si servirebbe sadicamente.
A guardare la partita e tre dei quattro gol rifilati ai friulani, sembrerebbe che per una volta la disamina volgare abbia un senso. Per questo procedo con l’opera di smontaggio. L’Inter è scesa in campo con un'altra squadra nuova, al punto da scoraggiare i temerari previsori di formazione che, su giornali e televisioni tentano disperatamente di azzeccare il maggior numero possibile di giocatori in campo, sapendo che al massimo possono arrivare a sette o otto. Al primo posto tra le tante sorprese di Mancini, c’è la presenza di Montoya sulla destra, al secondo posto il centrocampo con Guarin e Felipe Melo e, conseguentemente, la formazione sfacciatamente sbilanciata.
I commenti si sprecano e anche io, a inizio partita, resto inebetito a guardare la composizione di questa squadra tanto imprevedibile in settimana. Passano pochi minuti e i motivi delle scelte dell’allenatore diventano più plausibili. L’Udinese infatti manca di Felipe, Zapata, Hertaux e Danilo, giocatori indispensabili per la solidità della difesa, Mancini perciò intuisce che può approfittarne solo rischiando. Così sposta tutto il peso in avanti, contando sullo stato di grazia di Miranda, Murillo e Handanovic, piazza Guarin, pur sapendo che non è un gestore di palloni ma un istintivo che vive di riflessi e un personalissimo, criptico senso del gioco. E l’Inter crea, rischia ma sfrutta le indecisioni di un Udinese che non ha contromisure alle aggressioni sui portatori di palla. Così Icardi, Jovetic e di nuovo Icardi sfruttano tre errori che sono un proclama all’insicurezza.
Nonostante l’uno due l’Inter tiene comunque in partita la squadra di Colantuono, perché la partitura è quella e non ci si può aspettare che Guarin congeli il pallone. Al contrario lo tiene anche quando potrebbe aprire, unico caso di giocatore che cerca l’avversario quando lui ha il pallone, come se avesse bisogno di sfidare fisicamente chiunque. L’Inter dunque vince per un'illuminazione dell’allenatore, per un idea che può essere discutibile ma che fonda le sue radici sul doppio concetto di conoscenza dei propri limiti strutturali e, di conseguenza, di studio importante degli avversari.
E’ evidente dunque (ma non per molti) che se si schierano tante formazioni diverse non è per un vezzo, un esercizio narcisistico per stupire tutti, come ho sentito dire da molti tifosi interisti infastiditi da qualcosa che non accettano. Il calcio è uno sport che in Italia vive di regole non scritte, di luoghi comuni scolpiti nella roccia e dunque di un naturale conformismo che, quando viene sfidato come da Mancini, viene attaccato e osteggiato, nonostante le vittorie. Formazione che vince si cambia, tanto per cominciare, perché questa Inter è il risultato di una rivoluzione senza precedenti, rivoltata per otto undicesimi e creata per essere efficace. Non è elegante citarmi ma ho scritto più volte che questa è una squadra nata per giocare male e vincere, strutturata esattamente con lo stesso concetto del Manchester City che vinse la premier con Mancini. Con la differenza che per quella squadra venne speso un patrimonio
E’ importante però fare due riflessioni. Ci sono state numerose occasioni in contropiede che avrebbero potuto chiudere prima la partita, invece, nonostante gli spazi, è mancata la malizia. Una costante che, al di là del risultato, si manifesta spesso e tradisce un approssimazione pericolosa. Ora l’Inter vince, io sono il primo a incoraggiarla e a riconoscere la bontà del progetto come sa chi mi legge. C’è però qualcosa che non mi convince nell’atteggiamento di una squadra forte, fisica, in ulteriore crescita che ha vinto spesso 1-0 anche per la mancanza di quella spietatezza che in altre zone del campo è invece presente.
E qui arriva la seconda riflessione, perché lo scudetto in questo momento sembra un'ipotesi possibile. E’ fattibile solo se Perisic, Ljajic, Jovetic e Icardi in generale cresceranno con la mentalità. Per arrivare in Champions League forse può bastare il talento ma per vincere lo scudetto non ti puoi permettere di fare l’appoggino di testa per il compagno che arriva, cincischiare col pallone cercando di andare sul proprio piede per il tiro e poi farsi soffiare palla (tante volte), andare in dribbling una, due volte di troppo rendendo l’azione improduttiva. E’ questa la differenza che passa tra un'ottima squadra e quella che vince. Temo solo l’imborghesimento dei giocatori, la convinzione che le partite si vincano in qualche modo, lo specchiarsi nelle proprie capacità invece di concentrarsi sui troppi errori che non hanno chiuso le partite. Se invece si punta “solo” alla Champions League, quello che vediamo potrebbe anche bastare.
Amala