Chiacchiere e distintivo
Ormai è diventata una abitudine; magari sgradevole, magari poco elegante, magari poco comprensibile dal popolo del cielo e della notte. Ma tant’è, siamo abituati da anni ed anni al chiacchiericcio da bar che non sono gli ultimi, da una settimana a questa parte, a poterci in qualche modo innervosire.
Però qualche sassolino dalla scarpa credo sia giusto levarcelo; non per altro, proprio perché le critiche quando sono fattive, costruttive, devono essere ascoltate e sulla base di queste è corretto aprire una discussione. Ma se si parla e sparla per il puro gusto di farlo, per andare a colpire qualcosa o qualcuno (e non si capisce nemmeno la motivazione) ecco, in questo caso delle spiegazioni, dei ragionamenti logici, delle prove a suffragio di quel che si dice o si scrive penso sia corretto presentarle.
Delle prove. Non delle chiacchiere. Altrimenti ritorniamo nel circolo vizioso del pour parler, del dire giusto per dire. Che, capisco, serve ad alimentare la polemica o a creare una sorta di circo mediatico nel quale ciascuno ha libero accesso. La libertà di parola è sacra, ci mancherebbe, però mi piacerebbe leggere o ascoltare tesi ben argomentate. Insomma, vorrei poter aprire una sorta di dibattito alla cui base ci siano fondamenta di cemento armato, non pali di legno a volte di seconda scelta.
In quest’ottica ho letto e ascoltato durante questa settimana il tutto ed il suo contrario. Mi è capitato di imbattermi in pezzi dove, ad esempio, Geoffrey Kondogbia veniva descritto come una sorta di nuovo Vieira, un crac che sarebbe esploso da un momento all’altro; poi, nemmeno un mese dopo, lo stesso atleta era bollato come una specie di pacco vagante, strapagato e senza futuro. Il ragazzo ha il torto di aver scelto, forse anche a cifre inferiori, l’Inter invece di altri club che lo corteggiavano. Non una corte superficiale, intendiamoci, ma serrata. E dunque, in soldoni, la Società nerazzurra avrebbe sperperato un patrimonio per accaparrarsi i servigi di un giovanotto francese che, insieme a Pogba (mica cicciobombocannoniere), è stato campione del Mondo con la Under 20 transalpina. Un ragazzo per il quale Domenech, che sarà pure antipatico a molti ma il suo lavoro lo ha fatto e parecchio bene direi, ha speso parole di elogio. Ma che strano: dal momento in cui Kondogbia ha firmato per l’Inter, Kondogbia è un bluff.
Ripeto, ciascuno ha la sua opinione e la propria idea. E ci mancherebbe pure. Al contempo mi chiedo: ma come è possibile che la valutazione, il giudizio su un giocatore così giovane possa cambiare in maniera tanto repentina in meno di quattro settimane? Durante le quali, è bene ricordarlo, Geoffrey non ha nemmeno giocato. Già, il campionato francese è finito e il ragazzo è meritatamente in vacanza. A meno che chi lo ha etichettato in maniera così tranchant e definitiva non lo abbia visto palleggiare in spiaggia. Sennò faccio difficoltà a darmi una spiegazione plausibile.
È un mondo difficile quello del calcio. Ma ha un lato che, ritengo, lo colloca e lo collocherà sempre in cima al gradimento della gente; ciascuno può parlarne. Ciascuno può discutere col giusto accanimento se tizio o caio siano bravi o meno, funzionali al progetto (quanto non mi piace questo modo di dire ma va di moda, quindi…). Ciascuno, nel suo piccolo, si sente allenatore o selezionatore; dipende sempre da chi scende in campo, se la propria squadra del cuore o la Nazionale. Ma in quale altro sport esistono milioni di teste che si contrappongono, che cozzano le une con le altre, che disegnano scenari tanto differenti? La risposta è semplice, come bere un bicchier d’acqua: il calcio. Sissignori. Quello sport dove ventidue ragazzotti in pantaloncini rincorrono un pallone tra gli ululati della folla. Novelli gladiatori, discendenti diretti degli eroi che calcavano le arene centinaia e centinaia di anni orsono.
Ora, stabilito che ognuno la pensa come meglio crede, trovo complicato riuscire a spiegare le parole di chi, è successo anche questo in settimana, bolla come un “non progetto” l’attuale campagna acquisti nerazzurra. Complicato è un eufemismo, chiaramente. Vorrei tanto capire come si riesca a non vedere qualcosa che sta prendendo forma, con spese atte a coprire zone nevralgiche del terreno di gioco dove la scorsa stagione faticavamo come dei somari. Perché è chiaro che gli acquisti finora effettuati non saranno dei comprimari nello scacchiere futuro di Roberto Mancini. Anche un bambino è in grado di comprenderlo. Poi possiamo discutere sul valore reale di chi arriverà a vestire la maglia nerazzurra, possiamo scontrarci sportivamente su questo o quel giocatore. Ma senza mai perdere di vista l’obiettivo finale; la costruzione di un gruppo destinato a tornare nelle zone nobili della classifica italica e nelle manifestazioni europee che contano, non quelle che fanno da corollario, per i prossimi anni. Altrimenti l’argomentare giusto per non ha il minimo riscontro. E non dimentichiamoci che l’Inter sta puntando ed investendo parecchio denaro su atleti giovani, giovanissimi. Con qualche vecchio marpione come collante. Mix forse non vincente nell’immediato, di certo interessante in un futuro assai prossimo.
Ultimo, ma non ultimo: com’è che tutti quanti sono diventati dei dottori commercialisti o dei revisori dei conti? Perché parecchi, non sto fantasticando, sproloquiano sui debiti societari, sulle difficoltà economiche, su fallimenti veri o presunti. Ora, poiché nessuno è stupido, mi pare evidente che i vertici interisti abbiano deciso di rischiare; senza scordarci che, in ogni caso, l’Inter annovera tra le sue fila campioncini con valutazioni piuttosto salate. E che, in caso di mancato raggiungimento di competizioni europee (cosa alla quale manco voglio pensare), verranno eventualmente ceduti per fare cassa. Sì, insomma, le spalle sono coperte. E nemmeno poco.
Rischiare dicevamo: potrebbe sembrare una mossa azzardata, questa è una obiezione intelligente. Personalmente la mia opinione è che il Presidente e la dirigenza tutta abbiano capito che il marchio Inter è ancora spendibile; che si possono avere buoni ricavi, se non ottimi, dal merchandising. Chiaro, la squadra deve avere appeal, altrimenti tutto il discorso non regge. E, detto fuori dai denti, molti dei nomi della vecchia rosa avevano un appeal vicino allo zero. Col massimo rispetto per dei professionisti che hanno dato ciò che potevano per la nostra squadra. Ma il cambio di passo è necessario.
Ecco. Obiezioni intelligenti. Non è che poi chieda molto.
Altrimenti sono solo chiacchiere.
Chiacchiere e distintivo.
Buona domenica a Voi. Amatela. Sempre.