Colombe e falchetti (sbeccati)
Sincerità per sincerità? Mai apprezzato meno chi ci riempie di notizie, quanto vere basta poi seguire il fiume degli eventi per rendersene conto, come in questo periodo. E va bene, il campionato di massima (mah) serie è chiuso per festività. E va bene, le amichevoli della nazionale italica non smuovono più mari e monti come un tempo, quando la famigerata dati auditel consegnava agli eroi pallonari share del cinquanta per cento se non oltre. E va bene, la serie B non ha ancora l’appeal della Premiership con la conseguenza che, a parte i tifosi specifici, al resto del Bel Paese frega poco o nulla delle vicende di squadre che galleggiano o sgomitano nella cadetteria.
Sicché comprendo nell’immediato il motivo di voci di mercato sparate a titoli cubitali, raccontate su carta o televideo vari. Quando addirittura non spiattellate a voce davanti alle telecamere. Che magari, complici giacca e cravatta o qualche abito con pizzi, trini e merletti, possono risultare perfino credibili. Salvo poi retromarce ai limiti dello scibile umano. Anzi, nemmeno retromarce. Nel mercato tutto avviene, tutto continua, tutto è il contrario di tutto. Quindi basta che qualcuno spari ad alzo zero una informazione, spesso senza un significato (che so, il calciatore ics viene a Milano con la fidanzata per fare shopping e no, non può venire a Milano semplicemente per fare shopping, ci deve essere sotto qualcosa), che tutto il mondo multimediale si affanna a trovare motivazioni che spesso non esistono. Soltanto perché non ci sono. Motivazioni intendo.
Ora, di quale credibilità si può godere se un giorno si racconta di debiti, società vicine alla rovina economica, situazioni al limite ed il giorno dopo le stesse società, quelle di cui sopra, immerse fino al collo in buchi neri senza poter mai più risorgere alla faccia dell’araba fenice, che inseguono pezzi da novanta, gente che costa milioni e milioni beh, confesso, è un mistero. La cosa che più mi dispiace è che una di queste società, anzi direi senza nessun timore di smentita la più bersagliata, sia quella per cui faccio il tifo; che fare il tifo non è cosa da poco. Fare il tifo non è mi piace la pasta col pomodoro ed il pollo arrosto. Fare il tifo non è: "Ho a casa la filmografia di Sergio Leone (mito e leggenda veri)". Fare il tifo non è: "Conosco a memoria tutte le canzoni di Lucio BattistI". Queste cose sono una parte infinitesimale di ciò che significa fare il tifo per la propria squadra, per i propri colori. Torniamo a noi, tralasciando per il momento paragoni irriverenti ed irriguardosi. L’Inter. Sissignori, l’Inter. Che tifo fin da bambino.
Ho una foto a casa, età anni 2 forse, in realtà magari anni uno e mezzo pure, nella quale sono seduto su un tavolo, discretamente grassottello, sorridente dentro una maglietta nera ed azzurra a strisce verticali. Quelle belle strisce di metà anni sessanta. Raccontano i bene informati che mentre passeggiavo in Piazza del Duomo insieme ai miei genitori mi fermai davanti ad una bancarella, una di quelle dove compri ancora oggi ricordi e gadget della città, indicando con il dito indice la maglia attaccata su di una gruccia di metallo. Era vicina ad altre, con altri colori. I miei cercarono di vedere se per caso cambiassi idea. Ma, continuano i bene informati, urlai fintanto che il negoziante la prese e me la consegnò. Non so più che fine abbia fatto quella maglia, ma la foto è lì e la testimonia.
Ecco, dicevo; non riesco a spiegarmi come l’Inter possa fallire un giorno e, roba da stropicciarsi gli occhi, il mattino seguente essere sulle tracce, non so, di un Benzema qualsiasi. Che, lo sappiamo tutti, costa quanto un pacchetto di arachidi tostate e salate. Non di più. O, allo stesso modo, come possa permettersi questa Società così indebitata da aver paura a farsi vedere in giro che poi la gente ti parla alle spalle, calciatori tipo Mata o Clichy, giusto per fare due nomi. Gente da oratorio, ingaggi bassi e procuratori rubati all’agricoltura. Perché di questo stiamo parlando. Di noi che ciclicamente veniamo condannati a fallire salvo risollevarci (coi soldi di chi poi non lo so) ed inseguire gente che costa decine di milioni di euro con ingaggi che potrebbero pareggiare il PIL di qualche piccolo staterello del terzo mondo. Cioè, i conti non mi tornano.
Sì, d’accordo, accendere i sogni dei tifosi non fa parte dei peccati mortali. Anzi, chi tratta di questo potrebbe anche dirti che fa bene alla salute immaginare la squadra coi colori del cielo e della notte nuovamente ai vertici italici. E per far bene fa bene davvero, aggiungo. Però, che volete farci, non riesco a non sentirmi leggermente preso in giro da alcuni racconti, chiamiamoli così. Soprattutto, lo ripeto come un mantra, se seguono altri racconti di tutt’altra natura messi in giro ad arte qualche giorno prima. Se non addirittura, è capitato, Il giorno prima. Infatti sto aspettando, seduto lungo l’argine del fiume, la prossima bordata. Quando si cercherà di far passare l’idea che, attenzione, da lì a qualche giorno l’Internazionale non esisterà più. Perché statene certi, arriverà il grande solone a ricordarcelo.
Questo è un mondo dove i grandi soloni abbondano ed un pochino troppi si prendono sul serio, terribilmente sul serio. Ad oggi qualcosa di vero c’è, lo sappiamo tutti; e cioè qualcuno, a fine anno, partirà. Credo proprio indipendentemente dal piazzamento. Qui non c’entra nulla l’arrivare terzi. Sono questioni diverse. Legate a caratteri, modo di giocare, rendimento. Semmai potremmo sbizzarrirci cercando di capire di chi si tratta. Nel frattempo mi godo una fetta di colomba. Che di falchetti comincio ad averne le tasche piene. Buona Pasqua a Voi ed ai Vostri cari.
Amatela, sempre!