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Dal 2004-2005 al 2014-2015: il progetto che fa la differenza e che oggi zoppica. Ora Mancini copi Mancini... di allora

di Francesco Fontana

Momenti storici totalmente diversi, disponibilità economiche senza paragone e monte ingaggi ben più elevati rispetto ad oggi. Tutte premesse che bastano per fare di queste righe un azzardo, e infatti concentrerò questa mia analisi sulla mentalità, sulla politica che si dovrà adottare per cercare di alzare il livello di una squadra - e di un club intero considerando anche l'aspetto extra campo - che oggi non è sicuramente in grado di tornare a lottare per traguardi importanti nell'immediato. Il punto focale consiste proprio nell'idea di base da cui tutto deve partire, finalmente, perché il progetto della nuova società, nonostante sia passato più di un anno dall'arrivo di Erick Thohir, 'zoppica' ancora e la maggior parte dei tifosi dimostra sovente il proprio pessimismo per l'Inter che verrà. Tanta luce l'ha portata Roberto Mancini, dopo un anno e mezzo di polemiche, critiche e antipatie nei confronti di Walter Mazzarri (talvolta fuori logica e che hanno superato ogni limite della maleducazione), ma è proprio dal coach di Jesi che mi aspetto la differenza. In campo, certamente, ma non solo.

Il Mancio si è ritrovato dall'oggi al domani una squadra costruita in sede di mercato con le idee del predecessore e, soprattutto, impostata secondo un'idea tattica ferrea da più di un campionato (il 3-5-2 'marchio di casa' WM). Non è per nulla facile il compito che sta svolgendo, reso ancor più complicato da un campionato già in corso e dal poco tempo a disposizione. Per questo vedo un'Inter più in 'palla' in campo europeo, dove in un match da dentro-fuori non sempre ad avere la meglio è la squadra più forte, al contrario di un torneo a lungo termine dove la continuità è aspetto determinante per il risultato. Questa sembra già l'ennesima stagione di passaggio, di 'transizione' come tanti amano specificare in questi casi, ma che non dovrà essere 'buttata', sperando, appunto, in qualche soddisfazione nel cammino europeo. Tutto qui? No, assolutamente. Mancini deve 'sfogliare la margherita', deve fare scelte importanti, tagliando i 'rami marci' che in un club blasonato come quello nerazzurro forse non hanno modo di esistere. Chiamatelo pure mercato interno, ma i successi partono anche da qui. Per questo le prime due stagioni (2004-2005 e 2005-2006) di coach Mancini in sella, devono essere da esempio. Anzi, l'esempio 'principe'.

Dare il benservito sarebbe già la prima mossa importante, non per forza a quei giocatori reputati non di alto livelli, ma a quelli non funzionali al progetto. Dieci anni or sono un certo Edgar Davids arrivò ad Appiano Gentile in veste di colpo clamoroso, dopo un corteggiamento stretto, salvo poi deludere qualsiasi aspettativa in campo. Per la gioia, non solo sua, di un certo Esteban Matias Cambiasso che dalla trasferta Champions del 'Constant Vanden Stock' contro l'Anderlecht conquistò Mancini, a scapito del guerriero olandese che non più tardi di qualche mese prima cambiò il volto del Barcellona, non esattamente un club qualunque. Trattasi di coraggio.

Dopo di lui, nelle due annate successive, salutò Milano e l'Inter gente come Cristiano Zanetti, Kily Gonzalez, Andy van der Meyde, Zé Maria, Alvaro Recoba (fenomeno indiscusso, ma che al termine della stagione dei record 2006-2007 aveva poco altro da dare a questa maglia), Giorgos Karagounis, Carlos Alberto Gamarra, Obafemi Martins, Francesco Coco, Lampros Choutos e Pierre Nlend Wome. Solo per citarne alcuni e considerando le prime due stagioni. Superfluo e, per certi versi, crudele presentare la lista degli uomini che arrivarono in quel periodo: penso a Julio Cesar, Maicon, Maxwell, lo stesso Cuchu oppure Luis Figo, senza dimenticare Hernan Jorge Crespo. Tutti campioni arrivati ad Appiano per pochi soldi, con formule vantaggiose (vedi il prestito biennale di Valdanito) o a parametro zero, come i due ex Real Madrid.

Scelte, intuizioni, anche fortuna... in tanti modi si potrebbe riassumere quel momento esaltante e felice, ma sicuramente alla base c'era un'idea comune, un progetto ben solido che portava la società ad azzeccare la maggior parte dei colpi. Ovviamente in sede di mercato è quasi impossibile centrare tutti gli acquisti al 100% (rapporto spesa-rendimento sul campo, vedi Ricardo Andrade Quaresma, il famoso Trivela, che steccò clamorosamente con José Mourinho), ma chi meno sbaglia, in genere, vince.

Il discorso è ampio, complicato e con mille aspetti da considerare, e per questa analisi non basterebbero pagine, pagine e pagine di editoriale. Tra 'il dire e il fare c'è di mezzo il mare', dicono i saggi, ma se Mancini occupa e occuperà per sempre un posto importante nella storia dell'Inter un motivo dovrà pur esserci. Hector Raul Cuper ci ha provato, il Mancio ha progettato e vinto. Per anni. Con le dovute proporzioni occorre ripartire proprio da qui. Anzi, da allora.


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Domenica 15 dicembre