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Di corto muco

di Alessandro Cavasinni

Giochino scorretto, bugiardo e anche un po' stronzo quello che in tanti, ormai da mesi, si divertono a fare nei confronti dell'Inter di Simone Inzaghi. Un incessante lavoro teso a sottrarre merito ai nerazzurri, utilizzando la tipica tattica nota. 

Perché qui nessuno ha l'anello al naso e ci si ricorda perfettamente delle premesse con cui nacque l'Era Inzaghi: si parlava senza mezzi termini di ridimensionamento, quasi di oblio. Da Conte a Inzaghi sembrava essere l'inizio della fine. Così come da Lukaku a Dzeko, da Hakimi a Dumfries, da Eriksen a Calhanoglu. Eppure da "Inter verso lo strapiombo" a "Inter squadra più forte d'Italia" il passo è stato brevissimo. Perché? Perché ad Appiano Gentile lavora gente che sa il fatto suo. Ecco perché.

Ora tutti a riempirsi la bocca con "Dimarco il miglior quinto a sinistra d'Europa", "Thuram che giocatore", "Calhanoglu super regista" eccetera. Ma non era affatto così in principio. E solo il lavoro di campo ha elevato il livello di tutti, allenatore compreso. Quindi è un merito, non un qualcosa di scontato. La forza dell'Inter è sudata, non regalata.

Eppure bisogna ascoltare Mourinho e Allegri piangere per le proprie rose e sbrodolare falsi complimenti per quella nerazzurra. Tipico atteggiamento passivo-aggressivo. "L'Inter ha due squadre!", urlano i soliti noti. Invece Roma, Juve e le altre no? Da quando Mkhitaryan è diventato Matthäus? Da quando Thuram è Henry? Dimarco è Maldini? Sommer è Pagliuca? 

La verità è che invidia. Invidia per chi non si lagna, lavora e ottiene risultati. Anche riuscendo a proporre un calcio piacevole e moderno (ciao Arrigo, ciao!). Nessuno obbliga nessuno a provare a vincere solo di corto muso. Anzi, di corto muco.


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