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Di vino, di poesia, di virtù e di Inter. Capitan Lautaro al settimo peccato di goal, ringraziando Karma-noglu

di Daniele Alfieri

"Bisogna essere sempre ubriachi", scriveva Charles Baudelaire negli anni in cui il Trinity College di Cambridge stilava il primo regolamento ufficiale del calcio moderno, sport che evidentemente avrebbe impiegato ancora molto tempo prima di essere introdotto in Francia. "Ma di che cosa? Di vino, di poesia o di virtù", secondo il padre dello Spleen, che però non si sarebbe potuto mai godere una partita del PSG con Lavezzi, Ibra o Messi, né tantomeno il fascino di un derby di Milano. E che derby, caro Charles, a saperlo ci sarebbe stato senz'altro spazio per un quarto elemento inebriante degno di essere citato accanto ai primi tre: l'Inter, quest'Inter che diciotto giorni dopo aver già strapazzato il Milan al King Fahd International Stadium di Riyad con in ballo niente meno che la Supercoppa Italiana lo rifà in campionato a San Siro nella serata in cui però Tatarusanu assume le vesti di un vero portiere e para praticamente quasi tutto. Appunto quasi, perché a trafiggere il vice magic Maignan ci pensa il solito Lautaro, anzi da oggi chiamatelo capitan Lautaro, con la fascia di capitano al braccio nonostante l'altro Milan giochi titolare in difesa con Acerbi e Bastoni, e al suo settimo peccato di goal contro il Diavolo. Novanta minuti di assolo nerazzurro, Toro scatenato e la parte bella del Meazza in estasi.

Il Milan, quello rossonero, si arrende subito anche perché esso stesso inebriato dalla musica dei polistrumentisti della squadra di Inzaghi. Barella e Mkhitaryan intessono le sinfonie sulla trequarti e diventano immarcabili per Tonali e Messias, non il salvatore in cui avrebbe sperato Pioli, mentre Bastoni e Milan, quello nerazzurro e non ancora del PSG, assaltano gli spazi lasciati liberi dai cugini, che si ritrovano spinti all'angolo sin dai primissimi minuti. Come contro la Cremonese, Lautaro la sblocca ma stavolta con incornata diretta sul cross dalla bandierina di Calhanoglu, anzi Karma-noglu perché dopo aver esultato al termine del tris rifilato alla sua ex squadra a Ryad erano rimasti evidentemente ancora alcuni conti in sospeso. Dzeko resta tutto sommato inoperoso in fase conclusiva, ma il suo lavoro di galleggiamento e raccordo con il centrocampo è comunque sempre intelligente e prezioso. La strategia cambia nella ripresa con l'ingresso di Lukaku, quello a cui forse più di tutti sta stretto l'1-0, e non parliamo solo di taglia. Il belga combatte e fa a spallate come al suo solito, dopo una di queste cade giù, si rialza e sfiora anche lui il raddoppio, sventato anche qui da Taturasanu. Dall'altra parte Onana fa gli straordinari: zero parate in un derby è comunque un evento straordinario.

Risultato dunque, se non bugiardo, bugiardissimo per un'Inter che si riporta a meno tredici dal Napoli e a più tre sulla Roma, in mezzo tra lo Special One e lo Spallettone, mentre il Milan che tanto piaceva ai luminari del calcio scivola a meno cinque e al sesto posto, indietro rispetto alle stesse Lazio e Atalanta per scontri diretti e differenza reti. Pioli le aveva provate tutte anche a partita in corso mandando in campo Diaz, Leao e infine Rebic, ma la retroguardia guidata da Acerbi ha sempre infuso sicurezza e protezione dalle parti di Onana. L'unica occasione sulla ripartenza lanciata dal pallone perso in attacco proprio dal Milan nerazzurro, con Giroud che per fortuna stavolta più che girarsi in area si è accartocciato. Inzaghi gongola a fine match ammettendo che la sua Inter ha stradominato, sebbene con la pecca di aver lasciato il risultato in bilico fino al 97' (ma non erano cinque?). Colpa anche dell'osso frontale di Lauti in fuorigioco nel 2-0 annullato con conseguente annullamento dell'assist di testa di Lukaku, le cui stats nel 2023 rimangono a zero. Ma ci sarà metà stagione per correre, inseguire numeri e obiettivi, alimentare il fuoco nelle tre competizioni in cui la squadra è chiamata ancora a dare delle risposte, illudersi forse, oppure esultare come ieri sera. Bisognerà ubriacarsi ancora di Inter, il "fardello del tempo" non avrebbe dato scelta neppure a Baudelaire.


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