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È nata la vera banda di Mancini: tutti utili, nessuno indispensabile

di Maurizio Pizzoferrato

L'importantissima vittoria contro la Roma ha consegnato al popolo nerazzurro, oltre ai tre punti, un'Inter nuova, pronta ad affrontare con grande fiducia le restanti ventisette partite di un campionato che sarà crocevia fondamentale per il futuro del club. Sabato scorso al Meazza l'Inter ha continuato a non brillare sul piano del gioco e pur non rubando nulla, per una volta può anche ringraziare la buona sorte e un super Handanovic se la Roma, fortissima, non abbia raggiunto almeno il pareggio dopo il gol dell'ormai insostituibile “pitbull” Medel.

Ma la vera forza della squadra nerazzurra e del suo tecnico è stata quella di ammettere la superiorità dell'avversario e di preparare al meglio la trappola vincente. Un piano tattico perfetto, teso a limitare Gervinho e Salah, i due pericoli giallorossi presentati alla vigilia del match come quelli che sarebbero entrati come lame nel burro nerazzurro. E invece altro che burro, l'ostacolo chiamato Inter era cemento, solido, compatto, unito.

La formazione scelta per la battaglia, una volta ufficializzata, aveva mandato in confusione tifosi e addetti ai lavori. Sui social apparivano addirittura insulti a Roberto Mancini, sì proprio a lui, l'amato figliol prodigo osannato senza se e senza ma un anno fa per essere tornato al posto dell'indigesto Mazzarri. D'Ambrosio, mai in campo sino a sabato, e Nagatomo terzini, Kondogbia, ma soprattutto Icardi, in panchina. Tra i 60 mila che hanno affollato San Siro, chissà quanti avranno avuto il desiderio di voltarsi e tornare a casa, mentre i giornalisti, in gran numero nel comodo media center di Piazzale Angelo Moratti, si guardavano increduli, compreso il sottoscritto, anche perché questa volta proprio nessuno aveva azzeccato la formazione, cosa a cui la categoria tiene in modo particolare.

Pronto il plotone d'esecuzione quindi per il Mancio che, tenendo fede al suo passato di artista del pallone, tentava un difficilissimo dribbling invece di appoggiarla comoda. “Se vince, però, dobbiamo inchinarci e applaudire”, sussurrava una collega che forse aveva capito oppure, per fede, voleva convincersi di aver capito. Poi ha parlato il campo. L'Inter ha vinto una partita che, seconda logica, alla vigilia era da X-2. I tre punti hanno lanciato la Beneamata nuovamente in testa alla classifica, appaiata da una Fiorentina che, dopo un breve periodo di sbandamento, è tornata a correre e segnare. Ma la sfida vinta sabato, come dicevamo in apertura, è andata oltre i tre punti conquistati.

Contro i giallorossi è nata una banda dove tutti sono utili e nessuno indispensabile. Vedere Perisic e soprattutto Adem Ljajic sacrificarsi in copertura per arginare le discese romaniste e poi ripartire per tentare di assistere al meglio Jovetic, è stato bello. Con le dovute proporzioni, sembrava di rivedere Eto'o e Pandev che, telecomandati da Mourinho, si trasformavano in un amen da attaccanti a terzini per il bene della causa. Sabato tutti sapevano cosa fare e hanno sudato per fare le cose richieste. Nessuno ha tentato la giocata per il voto in pagella, ma nessuno si è nascosto per paura di sbagliare. L'Inter anti-Roma è stata unità di intenti, spirito di sacrificio, voglia di non cedere il territorio all'invasore, bello e celebrato.

Roberto Mancini, stremato al fischio finale e forse pure commosso, ha vinto dunque la sua partita e ha lanciato un segnale fortissimo alla truppa. Ha tenuto in panchina Mauro Icardi, capitano della squadra, capocannoniere dello scorso campionato e reduce dal gol segnato a Bologna. Facile pensare che l'esternazione di Maurito al Dall'Ara, dove lamentava scarsi rifornimenti per giustificare le sole tre reti realizzate e prestazioni sotto tono, non siano piaciute a società, tecnico e compagni, fino ad arrivare ad una esclusione punitiva. Il Mancio nega che sia così, parlando solo di scelta tecnica tendente a non dare punti di riferimento alla difesa avversaria. Ma in questo caso, Icardi rischierebbe sempre la panchina e invece credo che un centravanti così dovrà essere un valore aggiunto e non un problema per chi ce l'ha. Ritengo che, rischiando come solo lui sa fare, Mancini abbia raggiunto lo scopo. Icardi ha capito che le vittorie dell'Inter non dipendono solo da lui, i compagni hanno capito che per l'allenatore non ci sono figli e figliastri. C'è solo l'Inter, come recita uno dei due inni e chi ne vorrà far parte dovrà anteporre il concetto di squadra alle pur legittime ambizioni personali.

Domenica la nuova banda Mancini sarà chiamata a confermarsi all'ora di pranzo nella Torino granata, scottata dalla beffa nel derby. Anche all'Olimpico piemontese vorremmo vedere undici e più giocatori dediti ad unica causa. E se dovesse scendere in campo, scommettiamo che anche Mauro Icardi avrebbe uno spirito diverso che farebbe sbocciare d'incanto la desiderata intesa con Jovetic? Mancini valuterà il lavoro di questi giorni e deciderà, sperando che ancora una volta faccia centro. Sarebbe stupendo battere il Toro e farlo sapere in tempo reale al tifoso Valentino che in quel momento sarà sulla sua Yamaha, impegnato a recuperare posizioni in quel di Valencia. Che domenica si prospetta, cuori nerazzurri.


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