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Essere o non essere (Antonio Conte)

di Gabriele Borzillo

Questo è il dilemma… 

Oddio, io lo vorrei tanto essere, Antonio Conte: lasciamo stare il discorso grettamente economico, non interessa, di rado mi è capitato di chiacchierare come con lui riguardo di pallone. Sarà stata la spiaggia, l’estate, il caldo, la mia maglietta del centenario apprezzata assai, mi ha sinceramente colpito la sua disponibilità, la gentilezza, la conoscenza calcistica fuori dal comune, l’essere ancora nel limbo di color che son sospesi, avrebbe scritto Dante, alla ricerca della consacrazione definitiva e, perché no, anche un filo di timidezza nei suoi atteggiamenti.

Perché sto parlando del 2008, un paio di lustri fa. Quell’uomo mi ha intrigato col suo modo di spiegare calcio, di parlare calcio, di masticare calcio. La consacrazione, alla fine, è arrivata. Inutile star qui a snocciolare un palmarès importante al quale manca, parliamoci chiaro, il successo continentale, quell’affermazione che ti fa immediatamente scalare posizioni all’interno dell’elite panchinara mondiale.

Antonio Conte, a suo modo, è un vincente, poche balle. Un vincente con mille pregi e mille difetti, con le sue verità che possono non collimare con le nostre, ma sempre verità sono: d’altronde alzi la mano chi pensa di non possedere difetti o di essere latore della verità assoluta (nell’ultimo caso, purtroppo, ce n’è più d’uno…). Antonio Conte, in sostanza, è così, prendere o lasciare, e se lo prendi decidi per tutto il pacchetto. L’Inter lo ha cercato, inseguito, voluto, contrattualizzato, per inciso non me ne frega quanto guadagna, non è affar mio, non sono io a pagare, nella speranza di tornare a sollevare un trofeo, a ricoprire un ruolo da protagonista, assente non giustificata per troppi anni. 

Dopo la prima stagione più che positiva, se si eccettua la brutta finale di Europa League persa contro una squadra decisamente più debole ma meglio organizzata nell’occasione, e un mercato per nulla trascendentale, se la si mena sul mancato arrivo di Kanté siamo davvero al lasciamo stare che è meglio, il popolo nerazzurro aspettava una ripartenza immediata, da gran protagonisti. Inutile stare a divagare su Villa Bellini, sulle facce dei diretti interessati, sulle loro espressioni, sulla reale volontà di Conte di restare o meno: non lo sapremo mai se non attraverso dichiarazioni a tratti pure scontate. Nessuno in Società, mi sembra, ha mai detto di voler cacciare il tecnico né costui, almeno nei miei ricordi, ha mai ricusato la panchina nerazzurra, nonostante lo sfogo post Bergamo del primo agosto.

Il tecnico leccese ha ricominciato da dove aveva finito. Anzi no. Perché ha cercato, si può anche provare nella vita, di cambiare l’atteggiamento dei suoi sul campo. Niente più ruba palla e riparti ma, al contrario, possesso estremo e controllo della partita. Che, detto così, è un gran bel progetto: però, Antonio, chiedo scusa, deve avere in rosa giocatori di qualità che ti consentano giro palla veloce, verticalizzazioni improvvise, fantasia intrinseca. Altrimenti, posso pure sbagliarmi, il tutto si traduce in un titic titoc noioso, leggibile da chiunque, stantio e poco esaltante.

Ecco, da questo punto di vista non mi pare i giocatori nerazzurri siano fantasiosi e pieni di inventiva, lì nel mezzo. Casomai ottimi soldati, pronti alla pugna proprio per morfologia e modo di intendere il pallone. E, lo confesso, il Conte dimesso a spalle curve in conferenza stampa, snocciolando una lunga serie di luoghi comuni, non mi ha mai esaltato: al contrario mi ha fatto pensare, nemmeno troppo impudentemente, ad una sosta forzata sulla panchina nerazzurra.

Champions orribile, al netto di obbrobri arbitrali dei quali mi piacerebbe aver notizie da Rosetti, che nel frattempo manda in Germania Makkelie, l’arbitro di Siviglia-Inter e, soprattutto, il varista di Inter-Borussia, inizio campionato balbettante, difesa perforabile da chiunque, giocatori spaventati e privi di punti di riferimento, Lukaku a parte. A Reggio Emilia, finalmente, l’Inter ha rispolverato una squadra corta, compatta, pronta a rubar palla e ripartire, tosta e concentrata. Senza trequartista, ché il disegno di Conte non lo prevede. Quindi benebravobis ho pensato, forse abbiamo ritrovato l’Antonio perduto.

Poi ho ascoltato la conferenza stampa: son sincero, ancora oggi non ho ben capito con chi ce l’ha, con chi si è incazzato brutto, al netto di una Società che solo un paio di giorni orsono lo ha stra-confermato, levandogli di torno, grazie (si fa per dire) alle parole di Marotta, perfino la grana Eriksen, che mi dispiace da morire veder partire ma, ahimè, non ha futuro nel progetto tecnico.

Una cosa, però, mi è parsa chiara: con tutte le ombre del caso, le mie non comprensioni, i miei dubbi, abbiamo ritrovato un tecnico arrabbiato, grintoso, cattivo, mai accomodante. Sì, dai, insomma: abbiamo ritrovato Antonio Conte. Per adesso tanto mi basta, irragionevolmente Reggio Emilia può essere un nuovo inizio.


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