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Giù le mani dalla Curva. L'unico settore che al Meazza canta per l'Inter

di Maurizio Pizzoferrato

Premessa. Il cuore della Curva Nord nerazzurra, presente al Mapei Stadium di Reggio Emilia, non è composto da stinchi di santo. Ad esempio, spesso hanno esagerato con gli assurdi cori anti-Napoli che hanno provocato, vista la (ingiusta) norma vigente la scorsa stagione, la chiusura del settore. Imperdonabile, a mio avviso, farsi squalificare, sapendo che sarebbe successo, nel giorno dell'addio al calcio di un vero ultrà dell'Inter, alias Javier Zanetti.

Detto questo, chi conosce le dinamiche ultrà e osserva quanto succede allo stadio prima di sentenziare, sa che al Meazza l'unico posto vociante, a parte i boati ai gol, sia la Curva Nord. Altrove, silenzio e fischi. Fischi e silenzio. Ogni tanto qualche applauso, ma la giocata deve essere di quelle trascinanti. In Curva, invece, il sostegno inizia al primo minuto e finisce al novantesimo. In Curva la partita non si guarda, si “vive”. Normale che questo succedesse quando arrivavano scudetti a ripetizione e si realizzava il sogno del Triplete. Meno scontato il “Forza Inter” per l'intera gara, in casa o in trasferta, nel periodo post-Triplete.

E invece è stato così, sempre, tanto che sui vari social molti tifosi arrabbiati per il ritorno delle sconfitte, pensavano addirittura ad una Curva succube della società, invocando una contestazione come nei tempi che furono. No, gli ultrà hanno deciso di sostenere la squadra a prescindere dal risultato, imprescindibile è solo l'impegno. Tutta questa premessa per commentare l'attualità, ossia lo scambio di insulti tra i ragazzi della Curva presenti a Reggio Emilia e Mauro Icardi.

Gridare, roteando l'indice accusatore: “pezzi di merda, tutti”, a chi ti ha seguito pure a un playoff di Europa League in Islanda in pieno agosto, non va bene. Per niente. Lamentarsi di scarso tifo al Meazza con gli unici che il tifo lo fanno, è da persone che dimostrano di essere in confusione. Come in campo. Poi sono arrivate le scuse, se avranno avuto effetti positivi lo testeremo domenica sera a San Siro in occasione di Inter-Palermo.

Qualche anno fa, Francesco Totti, il capitano della Roma che con la maglia giallorossa ha esordito in serie A a 17 anni e ancora la indossa con onore e profitto a 38 suonati, ha avuto la sventura di vivere la stessa situazione di Icardi e la Roma era contestata dagli ultrà, a differenza di quanto sta accadendo all'Inter. Solo che Totti, già allora per molti tifosi giallorossi ottavo re di Roma, si è ripreso la maglia gettata indietro e se ne è andato. Incazzato, avvilito, mortificato. Ma se ne è andato.

Chiuso il capitolo dedicato ai comportamenti di giocatori e tifosi, non nascondo la mia di incazzatura. Perché stravedo per Mauro Icardi, tipologia di centravanti che resiste a mode e moduli di gioco. Il gol, purtroppo inutile, contro il Sassuolo, è un mix di furbizia, potenza atletica, precisione. Il gol del Bomber. Già allontanato Osvaldo, altro attaccante di razza e con il gol nel sangue, l'Inter si appresta a dire addio anche a Icardi? Dal punto di vista etico, quanto successo con Osvaldo e quanto succederà (multa) con Icardi, non fa una grinza. Ma se poi l'unico epilogo sarà la cessione, allora anche in società si dovrebbe recitare il mea culpa. Se a 20 anni arrivi all'Inter e sei forte, devi trovare chi detta regole e comportamenti, altrimenti rischi di sentirti onnipotente senza capire che basta poco per rovinare tutto. Non mi piace fare paragoni con i rivali storici, ma perchè alla Juve Osvaldo, seppur giocando pochissimo, non ha mai alzato un dito? E che dire di Carlitos Tevez, eterno ribelle, che da quando veste il bianconero pensa solo ad allenarsi e a segnare?

Intanto la squadra si scopre “così piccola e fragile”, come cantava Drupi, e continua a deludere, nonostante il ritorno di Roberto Mancini. 10 punti in 10 partite per il Mancio che cerca di non drammatizzare perché il giudizio dettato solo dal risultato, per lui è un esercizio tipicamentre italiano, distante dalla sua nuova mentalità british. Può darsi che tu abbia ragione, Mister, ma l'Inter gioca a Milano, non a Londra, non a Manchester. E stare nella parte destra della classifica rende l'interista nervoso, un nervosismo che lo priva di quel senso critico che gli permetta di valutare i progressi teorici di un lavoro che vorrebbe portare l'Inter a giocare da grande e non da provinciale. Continuo a ritenere Mancini l'uomo giusto per andare a dama, ma ci vogliono tempo e soprattutto giocatori adatti.

A questo proposito voto 7 al mercato di riparazione, ma i frutti si raccoglieranno dalla prossima stagione. Per ora non resta che salvare il salvabile, a partire da questa sera al San Paolo di Napoli dove la Beneamata dovrà cercare di conquistare l'accesso alla semifinale di Coppa Italia in partita secca. Sembra un compito improbo contro questo Napoli nella sua tana, ma la competizione si chiama anche “Coppa Mancini” e allora confidiamo nello “stellone” del Mister.


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