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Guardare indietro per guardare avanti

di Giulia Bassi

Guardare indietro difficilmente aiuta, perché sposta l'attenzione dal presente: distrae, nella migliore delle ipotesi; intristisce, libera la nostalgia, fa arrabbiare, nella peggiore. Ma a volte è anche una necessità irrimandabile: per provare a capire gli errori, per fare tesoro delle proprie esperienze e perché, in fondo, non siamo altro che la somma di ferite, lividi e cicatrici. La differenza, casomai, sta nel sorriso che sfoggiamo sopra di esse, sovrastandole, e nella reazione che possiamo avere, oltrepassandole, e che ci può permettere di cambiare direzione e anche il corso delle cose.

Per l'Inter il derby è, e deve essere, alle spalle, mentre l'attenzione ora si sposta tutta sulla Champions, sul ritorno in Europa a due mesi esatti da quella finale di Colonia che ne ha lasciato, eccome, di lacrime, ferite e cicatrici. Si capisce, dunque, come il Borussia M'Gladbach trovi il suo spazio ma solo in mezzo a desideri e voglia di rivincita, di scrollarsi di dosso le critiche premature, di dimostrare che no, l'Inter non è questa. Perché guardare indietro, in fin dei conti, è inevitabile.

Se guardiamo indietro vediamo una squadra che ha avuto pochissimi giorni tra la fine di una stagione unica nella sua drammaticità storica e l'inizio di un'altra che andrà a braccetto con difficoltà e ostacoli dati dal momento che tutti viviamo: c'è tanta, troppa anomalia, in questo contesto da non poter essere ridotto tutto al puro e semplice rango di "alibi". L'Inter che ha iniziato la stagione 2020/2021 ha mostrato delle indubbie fragilità e ci sono tante quadrature che Conte deve ancora trovare partendo dalla difesa (senza dimenticare, comunque, che l'unica volta in cui ha potuto scegliere chi schierare ha coinciso con la partita, quella con la Lazio, in cui la squadra ha rischiato e concesso meno).

Non può poi non avere soluzione logica la questione Eriksen perché l'Inter non può permettersi di non comprendere un simile talento: il danese è chiamato a un atteggiamento "alla Godin" (che lo scorso anno non vide il campo per mesi e una volta che divenne titolare si limitò a dire: "Mi sono messo a lavorare per capire quello che l'allenatore voleva da me e ho sempre rispettato il compagno che stava giocando al posto mio"); l'allenatore è chiamato a un'idea tattica che lo valorizzi e renda giustizia alla sua visione di gioco per nulla banale. Liberare la fantasia e la classe di Eriksen vorrebbe anche dire evitare di ritrovarsi per lunghi tratti della partita a buttare la palla su Lukaku nella speranza che la protegga e apra spazi: lo stesso Lukaku va soprattutto lanciato in campo aperto per poter dare sfogo alla sua strapotenza fisica.

La stagione è appena iniziata ma le critiche, non prive di senso e logica, sono già feroci, per quanto inevitabili. Una sensazione è che la squadra non abbia liberato la testa dopo la sconfitta col Siviglia, che sia rimasta a quella notte di amarezza e rabbia e anzi, che quella rabbia, non abbia finito per diventare la benzina nel motore in un momento in cui nessuna, o poche, delle big riesce davvero a brillare. Ogni campionato ha una capolista "anomala", diversa rispetto alle stagioni precedenti, e anomala continuerà, in ogni caso, a essere anche questa stagione. Difficile ragionare solo di calcio come se intorno non fosse cambiato tutto: si vedono partite diverse, con ritmi e tattiche diverse, più errori e più gol; capita persino di vedere più partite nella stessa partita. E i giudizi finiscono per essere così superficiali e facilmente smentibili alla prossima occasione, alla prossima vittoria o sconfitta.

Un'altra sensazione però è quella di una stagione in cui tutto può succedere, sia in campionato sia in Europa. Il format eccezionale della scorsa Europa League aveva permesso all'Inter di accarezzare, e sfiorare, un sogno. E anche in Serie A i nerazzurri sono rimasti a lungo aggrappati al treno scudetto. Servono motivazioni nuove, forze che arrivano prima di tutto dalla testa, dall'atteggiamento e dalla mentalità. Col 'Gladbach c'è la prima occasione buona per dare segnali in questo senso. Perché, in fondo, quando ti appresti a fare un sorpasso prima devi guardare nello specchietto retrovisore per assicurarti che non stia arrivando qualcuno. Guardare indietro per guardare (e andare) avanti. E non dimenticare errori e ferite.

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