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I tre giorni dell'Inter

di Lapo De Carlo

Non ricordo in tutta la storia dell’Inter una situazione anche lontanamente simile a questa. Mi ha fatto sensazione ascoltare centinaia di persone che esprimevano un giudizio sulla clamorosa protesta dei tifosi liquidandola con una marcia indietro causata da qualche centinaio di ultras sotto la sede. Dimenticando che, poche ore prima, si parlava di questa sommossa in rete, arrivata trasversalmente, e che partiva da migliaia di “indignados” nerazzurri.

La questione non è che gli interisti si siano mobilitati solo perché lo scambio tra il colombiano e il montenegrino alla pari appariva penalizzante. La reazione è stata il culmine di una lunga serie di eventi.
Il clima surreale che avvolge l'Inter e i suoi risultati, la gestione isterica che in 3 anni ha dissolto un vertice così faticosamente e lungamente inseguito, l'avvicendamento di allenatori, l'addio di Moratti e poi l'arrivo di Erick Thohir che probabilmente contava di arrivare al termine della stagione, elaborando strategie e riorganizzando la società da maggio.
Un peccato di ingenuità che è coinciso con un crollo repentino della squadra.
Thohir sapeva che questa fetta di stagione sarebbe servita per pianificare ma non immaginava quanto, delle sconfitte a ripetizione e un calciomercato immobile, avrebbero generato in soli 20 giorni una simile tempesta.
Facendo un passo indietro cosa ha portato alla reazione virulenta il popolo nerazzurro con una modalità senza precedenti?
Dopo il derby c'era tutto il tempo e le condizioni per lavorare nel modo migliore preparando il girone di ritorno. Invece l'Inter perdeva con la Lazio giocando malissimo e subendo danni arbitrali fino alla beffa di Klose. 
Passata una settimana di polemiche l'Inter giocava in modo bolso contro il Chievo, riuscendo solo a pareggiare in casa. 
Le polemiche montavano e intanto Thohir rilasciava dichiarazioni di realpolitik spegnendo ogni illusione di acquisto importante. Poi 4 giorni dopo arrivava l'eliminazione dalla coppa Italia. Mazzarri schierava una formazione sperimentale e dopo il consueto rigore non concesso, dichiarava che nessuno gli aveva chiesto di vincere la coppa Italia (!)
Arrivato il turno di Genoa-Inter non solo il tifoso nerazzurro vedeva perdere l'Inter ancora e in modo beffardo ma doveva sorbirsi la quinta o sesta intervista livorosa di Gasperini in cui, oltre ad attaccare l'Inter, tirava volgarmente in ballo calciopoli liquidando la faccenda con più veleno di una suocera inacidita. 
La risposta indiretta arrivava da Zanetti, sempre fin troppo misurata. Ma nessuna presa di posizione della società verso un signore che sbertuccia l'Inter da due anni con dichiarazioni imprecise. Ci pensava Oriali a dire in faccia a Gasperini che era fuori luogo tirare in ballo calciopoli. 
Era lunedì mattina e l'interista assisteva a tutto questo con una sensazione di impotenza, come se nulla smuovesse davvero la società. Non le sconfitte, non le richieste di intervento di Mazzarri, non gli attacchi di stampa e tv, e nemmeno le dichiarazioni arbitrarie di un ex allenatore rancoroso. 
E alle 13 circa di lunedì veniva fuori un incredibile trattativa che portava Branca, Ausilio e Fassone a trattare un clamoroso scambio tra Guarin e Vucinic. Alla pari. Nessun conguaglio. Questo alle 15 del primo giorno della settimana. 
In sole 4 ore  esplodeva una reazione che era figlia della frustrazione verso una dirigenza che, dopo l'immobilismo, sceglieva di cedere il giocatore più irritante e insieme più potente ai rivali di sempre. Ma sarebbe stata la stessa cosa se si fosse trattato del Milan.
Veder scambiare Guarin, un giocatore di 27 anni con uno di 30 come il pur bravo Vucinic, è stato l'elemento che ha fatto saltare l'innesco. 
La paura del tifosi, che in questi anni hanno visto fare scambi sciagurati con Milan e Juventus, si stava ripetendo con una tale rapidità e disinvoltura che è stata naturale la reazione. Il timore legittimo che Guarin, in una squadra che funziona, potesse giocare meglio ed essere così esposto come vessillo, ha scatenato un pubblico che in definitiva non si fida più e non capisce chi sia il suo interlocutore.
A quel punto la clamorosa interruzione da parte di Thohir, per riflettere sullo scambio, creava uno stallo nei sentimenti e intenzioni di giudizio.
In serata arrivava il tweet gratuito di Vieri che svillaneggiava l'Inter e gli interisti con due fragorose risate in 140 caratteri sul suo profilo. 

Martedì la vicenda si chiudeva del tutto e Marotta il giorno dopo faceva un conferenza stampa durissima e sprezzante. La reazione di Thohir restituiva dignità all'Inter. 
Un comunicato condivisibile per modi e schiettezza. 
Resta il fatto che non spiega l'evoluzione di una trattativa e tanto meno chi comandi le operazioni e le strategie, in assenza del presidente.
L'aspetto più sottovalutato è che non ci sono interisti veri e riconoscibili in società, nei posti di comando. E ci sono due presidenti, uno ancora percepito nonostante la dissolvenza e l'altro sfuocato per la distanza. E poi un Mazzarri, ennesimo allenatore degli ultimi 36 mesi che se ha una colpa, esulando dalle competenze tecniche, è quella di non dire qualcosa che lo renda parte integrante. Si comporta da professionista quale è, ma senza alcun coinvolgimento.
Ci sono stati allenatori che dopo pochi mesi sembravano interisti di lungo corso anche solo con piccoli gesti. Mancini con la sciarpa, Mourinho già dopo la prima conferenza stampa, Leonardo per l'atteggiamento anche se furbo, Stramaccioni salutando la curva dopo aver vinto il derby. 
Mazzarri si tiene a debita distanza. E questo, insieme a una società temporanea, crea un distacco e insieme meno indugi nel tifoso che ha bisogno di sapere chi comanda, cosa decide, come lo fa e quando.
Soprattutto quando. Perché se non si inizia un qualunque progetto si continuerà a girare a vuoto, come ora.


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