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Ibra è grande, ma l'Inter conta di più

di Fabio Costantino

Un vero peccato che non si possa godere fino in fondo di questo quarto scudetto consecutivo, a causa delle roventi polemiche intorno alla posizione di Ibrahimovic. Lo svedese, in Italia e in Svezia, continua a ribadire un concetto lampante, anche se mai espresso apertamente: il suo futuro non è più all’Inter, ma altrove, dove le possibilità di vincere la Champions aumenterebbero. L’ipotesi che la sua sia solo una strategia mourinhana (indotta da Raiola) per farsi ritoccare l’ingaggio perde quota per il semplice fatto che lui e il suo staff farebbero una pessima figura se la realtà fosse questa, alla luce delle continue smentite. Tra l’altro, difficilmente Ibra otterrebbe il ritocco, perché Moratti, a ragione, è stufo di certi atteggiamenti e non accetterebbe di alzargli uno stipendia che è già il più remunerativo al cospetto di tutto il sistema calcistico dei dipendenti. Cosa vuole ancora un giocatore che di certo non è il migliore al mondo, ma guadagna come se lo fosse? Chi potrebbe dar torto al presidente interista? Anche oggi che si parla di un trasferimento di Kakà a cifre favolose non si arriva di certo a quei 12 milioni di euro percepiti ogni anno da Ibrahimovic. E, pur facendo male ammetterlo, Kakà è un ex Pallone d’Oro e in Europa ha vinto. Impresa che al genio di Malmoe non è riuscita. Bisogna anche essere coscienziosi in certe circostanze: se esiste anche lontanamente un sistema meritocratico nel mondo del calcio, non è giusto che chi ha fatto meno guadagni di più di chi ha portato a casa risultati importanti per la sua società. Ibra è stato decisivo per le sorti nerazzurre negli ultimi tre anni, almeno in Italia. E il suo stipendio lo gratifica a sufficienza.

L’altra ipotesi, quella a cui vorrei credere, è la necessità di provare nuove sensazioni, nuovi stimoli altrove. Ibra è stato all’Inter tre anni, ha contribuito ai successi di un club che negli anni passati zoppicava non poco. Il suo è stato un apporto sempre più sostanzioso, anche dal punto di vista dei numeri. E nessuno può negare che in campo sappia tradurre il concetto di calcio nel modo più entusiasmante. Ibra è un artista, un giocatore al di sopra degli altri e ne è consapevole. Fa parte del suo carattere, ma probabilmente è proprio quel carattere narcisista ad alimentare il suo genio sul terreno di gioco. Noi tifosi nerazzurri abbiamo forse goduto il meglio del suo repertorio, così com’è capitato nel 1998 quando arrivò Ronaldo, così com’è successo durante gli anni interisti di Christian Vieri, anche lui eroe scorbutico e antipatico, ma tremendamente efficace. Ronaldo e Vieri sono andati via, entrambi in modo traumatico. Ma l’Inter ha proseguito pr la sua strada anche senza di loro, che dopo l’addio qualche rimpianto l’hanno di certo avuto. Se Ibrahimovic deciderà di andarsene, pace. È un suo diritto scegliere il meglio per sé dal punto di vista professionale. Se il progetto di Mourinho non lo stimola più, è giusto che cambi aria. Se pensa di non poter vincere in Europa con l’Inter, vada pure in Spagna dove la coppa dalle grandi orecchie l’hanno appena sollevata. Nessuno può pretendere che uno zingaro del calcio si affezioni a una maglia, lui ha sempre giocato per sé stesso e ad Amsterdam e Torino lo sanno bene. Una stretta di mano per quanto fatto finora, e i migliori auguri per il futuro. Il rapporto tra lo svedese e la Beneamata deve terminare così. Al suo posto arriverà un altro campione, e noi tifosi ce ne innamoreremo. Magari non proveremo sentimenti di odio-amore come quelli nei confronti di Zlatan (unico e inimitabile), ma ci emozioneremo comunque. Perché, come disse saggiamente Roberto Mancini qualche settimana dopo il suo esonero, i tifosi non devono amare giocatori o allenatori, devono amare la maglia. Perché la gente passa, l’Inter resta.
 


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