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Il caso VAR si manifesta in Serie A con tutta la sua intensità

di Mattia Zangari

E’ arrivato quel momento dell’anno in cui in Italia esplode, tutto assieme, il 'caso arbitri'. E’ scoccato alla settima giornata, giusto in tempo per riempire il vuoto lasciato dalla seconda sosta stagionale. Coincidenza ha voluto che diversi errori macroscopici si siano concentrati in massa nello scorso week-end, distribuiti sui campi senza uno schema precisa. Non cavalcheremo l’onda del complottismo che, ogni tot, i tifosi di questa o quella squadra tirano fuori per avere l’alibi a portata di mano dopo un cattivo risultato.

Nei cahiers de doléances da presentare all’AIA, per essere precisi, ci mettono la firma pure i dirigenti, che usano il mezzo televisivo per evidenziare i torti, veri o presunti, che hanno subito. L’ultimo in ordine temporale in Serie A è stato Florent Ghisolfi, direttore sportivo della Roma, che ha definito 'inaccettabile' quanto accaduto domenica scorsa sul campo del Monza. L’episodio incriminato è il fallo evidente nell’area di rigore brianzola di Georgios Kyriakopoulos ai danni di Tommaso Baldanzi, non fischiato live né tanto meno portato alla luce dal VAR, stranamente silente per contatti che in Italia vengono sempre sottoposti a revisione. "Tutti hanno visto, esigo rispetto", le esatte pronunciate a Sky Sport dal ds giallorosso. Una frase che invita a una riflessione profonda: oggi come oggi, nel calcio del 2024, è praticamente impossibile nascondere quello che succede in campo. Dunque servirebbe intendersi se quello che vediamo è uguale per tutti, proprio per il 'rispetto' di cui parlava Ghisolfi. Il rispetto per lo spirito di questo gioco, per chi lo pratica e soprattutto per chi lo guarda.

Il disorientamento è a tutti i livelli, tanto che interpretazioni discutibili di questa classe arbitrale hanno messo d’accordo addirittura due allenatori avversari. E’ successo dopo Fiorentina-Milan, diretta da Luca Pairetto, con Simone Sozza e Rosario Abisso collegati da Lissone. Il peccato originale è il penalty accordato alla viola per lo scarpino di Dodò sfiorato da Theo Hernandez nel tentativo di rilancio. Una massima punizione che in diretta nessun arbitro in carne ed ossa avrebbe assegnato. Il problema è che la macchina della moviola, sì perché questa non è Video Assistant Referee, si è azionata non appena il brasiliano ha cominciato a contorcersi come se fosse stato preso in pieno dal capitano rossonero (scene sempre più frequenti dall'introduzione della tecnologia nel mondo del calcio). Richiamato al monitor a bordocampo per la review, Pairetto non ha voluto smentire i colleghi lontani, abbassando di conseguenza la soglia dei contatti meritevoli di fischio per tutto il resto della partita. I rigori concessi, alla fine, sono stati tre. "Non voglio dire niente. Io amo il calcio e non voglio contribuire a questo circo. Adesso ogni minimo contatto è rigore: il calcio non è così, non voglio parlarne”, ha spiegato Paulo Fonseca a caldo, parlando con i giornalisti. Punto di vista praticamente coincidente a quello di Raffaele Palladino: "Ho avuto modo di parlare con Fonseca prima e abbiamo condiviso il pensiero. Inutile dire chi ha sbagliato, anche gli arbitri possono farlo. Sicuramente i rigori vengono concessi con troppa facilità e il calcio è anche contatto fisico". 

Questo lo strano epilogo di una giornata in cui in molti hanno avuto da ridire: il Cagliari, per esempio, per il rigore fischiato per il mano di Luperto in caduta che ha permesso alla Juve di andare in vantaggio. La stessa Juve che si è vista costretta a finire in dieci uomini la sfida per la seconda ammonizione comminata a Conceicao, colpevole di aver simulato. Venerdì, se col Como non fosse finita 3-1, il Napoli avrebbe alzato probabilmente i toni dopo che la netta spinta di Dossena a Kvaratskhelia in area è stata giudicata legale dalla squadra arbitrale.

Questi casi sono tutti accomunati da una parola: intensità. Che nel regolamento del gioco del calcio in vigore viene citata nella parte in cui si parla di impraticabilità del campo per vento, ma soprattutto nel paragrafo del protocollo VAR, dove si parla pure di ‘velocità normale’, quella a cui gli arbitri riescono a prendere la decisione giusta sempre meno spesso. Il calcio moderno va troppo veloce, questo VAR non riuscirà mai a stare al suo passo. In quanto mezzo maneggiato da uomini, il suo utilizzo è discrezionale. Un’arma a doppio taglio la cui pericolosità non può essere certo annullata dall’introduzione del VAR a chiamata. Servono linee guida chiare, non contraddittorie. Per esempio, lo ‘step on foot’, l’antico ‘pestone’, da qualche tempo sta diventando come un terno al lotto. Gli arbitri ormai tendono spesso a confondere la dinamica di un contrasto di gioco perché una settimana la guardano con il loro occhio nudo, poi quella successiva attraverso il filtro del VAR. Distorsioni visive che potrebbero essere azzerate formando specialisti tecnologici di ruolo, purché possano seguire indicazioni coerenti. Un'idea, portata all'attenzione dal designatore arbitrale Gianluca Rocchi nelle scorse ore, da seguire. 


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