.

Il coraggio di fare delle scelte e quelle parole di Spalletti che tornano attuali

di Stefano Bertocchi

Un pareggio dal sapore di sconfitta. È questa l'amara sensazione che resta nella bocca dell'Inter dopo il pazzo 4-4 contro la Juventus. Un pareggio nel Derby d'Italia non è mai un dramma e ci può stare, ma non come quello arrivato a San Siro nel tardo pomeriggio di domenica. Perché il primo vantaggio è durato appena cinque minuti, mentre dopo altri undici si era addirittura sotto con due gol incassati per evidenti errori difensivi; poi la reazione di forza con Mkhitaryan e Zielinski che, in appena due giri di orologio (dal 35' al 37'), riportano il big match sui binari nerazzurri e un approccio aggressivo a inizio secondo tempo che vale addirittura il poker. A testimonianza che la fame c'è ancora. L'enorme mole di occasioni sprecate e la mancata gestione, però, si trasformano nella concreta applicazione del 'Chi sbaglia paga' con la doppietta-beffa di Yildiz, condita da altri indecenti errori individuali e collettivi. 

La vera domanda è una: che bisogno c'era, con due gol di vantaggio, di tenere il baricentro alto e un approccio extra-offensivo alla ricerca del quinto gol, quando si poteva gestire? In quel momento l'imperativo doveva essere addormentare la gara con il possesso palla e, soprattutto, non regalare praterie alle ripartenze bianconere delle frecce di Motta. Le occasioni per fare il quinto gol probabilmente sarebbero arrivate lo stesso. O forse no, ma la priorità in quel caso era limitare i rischi. Invece la squadra è apparsa lunga, scollegata, con i reparti distanti l'uno dall'altro e copertura del campo da analizzare e rianalizzare fino alla nausea in sala video. Un compito che spetta a Inzaghi e al suo staff, chiamati anche ad avere il coraggio di fare delle scelte e di prendere delle decisioni che potrebbero sembrare impopolari. 

E allora se Sommer (incerto nell'uscita sul gol di Weah, imperfetto sul secondo guizzo di Yildiz e tutt'altro che sicuro con la palla tra i piedi) non sembra ora dare le giuste garanzie, perché non iniziare ad inserire Martinez nelle rotazioni? Dalle certezze del portiere passano anche quelle del reparto arretrato e proprio qualche stagione fa lo stesso Inzaghi l'ha provato sulla sua pelle, quando ad un certo punto tirò fuori la personalità switchando le gerarchie tra i pali con capitan Handanovic in panchina e Onana in campo. Dalla porta si arriva fino all'attacco, dove un top player come Lautaro non deve obbligatoriamente risultare intoccabile solo perché ha la fascia al braccio e la 10 sulle spalle, anche se appare fuori condizione. Forse sarebbe meglio gestirlo, recuperarlo e iniziare a inserire nei meccanismi uno come Taremi, che di partite (e gol) alle spalle ne ha più di una.

Il problema principale resta comunque una difesa che balla, dove al centro del terzetto uno come Acerbi (anche per questioni anagrafiche) può umanamente non essere più impeccabile come prima. E dove il suo sostituto De Vrij, disastroso con la Juventus e spesso fuori posizione, non è più quello ammirato durante l'Era-Spalletti. Uno che nel lontano 5 gennaio 2018, dopo il pareggio di Firenze, rispondeva nervosamente a Premium Sport all'ennesima domanda sul mercato e sulla rosa corta: "È sotto tutti gli occhi che ci manca un centrale, non c'è bisogno di indagare e analizzare ogni mia sillaba! Mia mamma che è a casa e ha 80 anni ha capito che mi serve un centrale". Parole che ad anni di distanza tornano attuali: un investimento importante in quella zona di campo (annusato e sfumato con Bremer e Buongiorno) deve essere fatto appena possibile. 


Altre notizie