Il più realista tra i più realisti
Che Beppe Marotta sapesse che, accettando la sfida Inter dopo tanti anni alla Juventus, avrebbe affrontato un viaggio simile ad una missione su Marte, ovvero su un pianeta completamente diverso sotto tanti, troppi aspetti, rispetto a quello dove ha vissuto negli ultimi anni, potremmo anche dire lo abbia messo in preventivo. Ma forse, nemmeno un uomo forgiato da tanti anni di esperienza in un mondo particolare come quello del calcio avrebbe potuto pensare di vivere un concentrato di situazioni e vicissitudini talmente bollenti come quelle che hanno contraddistinto gli ultimi mesi nerazzurri. Dove, quando si supera una fase nera condita da eventi peculiari, spesso anche imbarazzanti, non si fa in tempo a chiedersi cosa potrebbe accadere di peggio che bum, arriva un’altra scarica di pioggia di grane fitta e gelata in stile ‘nuvolone dell’impiegato’ che sta in agguato ed è pronto a colpire quando magari la situazione diventa inaspettatamente un po’ più serena.
L’Inter è sempre stata, è sempre e sembra condannata ad esserlo negli anni a venire, qualcosa di diverso, un mondo di impeti futuristi dove la normalità sembra essere bandita, nel bene come nel male; è probabilmente l’antitesi naturale del concetto di una modalità standard di fare e vivere calcio. Questo fuori, come da fatti recenti ben noti, ma anche in campo, dove anche una vittoria comunque legittima e mai in totale discussione come quella col Frosinone di domenica scorsa deve comunque avere al suo interno un pizzico di ansia concentrato in quella prima parte della ripresa, dove forse nemmeno la squadra di Marco Baroni pensava di vedere aperto uno spiraglio per rientrare nel match dopo un primo tempo di totale abulia. Una sfida non da poco, dunque, per Marotta, che però non sembra essersi scomposto più di tanto di fronte a cotante avversità e anzi le ha affrontate di par suo, senza mai mancare di una sana dote: quella del realismo.
E realismo è quello che ha usato a grandi dosi parlando lunedì mattina a Radio Uno Rai, dove, tra una riflessione e l’altra su quello che è stato il club del suo passato recente (del resto, se le domande sono quelle…), l’ad sport nerazzurro ha chiarito quelle che sono le prospettive del club per il futuro. Un futuro nel quale l’Inter punta essenzialmente a crescere e a migliore gradualmente il proprio bilancio sportivo, dopo che si saranno esaurite le scosse di assestamento dovute ai tre cambi di proprietà a stretto giro di posta e alla tenaglia del settlement agreement che va allentandosi. Il tutto con l’obiettivo di costruire una squadra fatta di giocatori che abbiano nel loro dna, oltre all’esperienza giusta per competere a determinati livelli, anche la cultura della vittoria, la capacità di poter instillare nello spogliatoio una determinata mentalità smarrita ormai dopo gli anni del Triplete. Il nome di Diego Godin è l’esempio ormai palese di questa filosofia.
Inevitabile che le parole di Marotta generassero tanto rumore e tanti, tantissimi commenti. Meno prevedibile, anche se ormai in tempi come questi non ci si dovrebbe stupire più di niente e di nessuno, è stato il dover constatare tante, troppe reazioni negative da parte di un gruppo di tifosi, soprattutto quelli avvezzi a cercare il lato negativo e la polemica sopra ogni fatto o dichiarazione per convinzione personale, per mera delusione o più semplicemente per il gusto di dare addosso per partito preso. E che, guardando al dito piuttosto che alla luna, fanno suonare campanelli d’allarme interpretando le dichiarazioni dell’ad interista nella peggior maniera possibile, dalla poca volontà da parte del gruppo Suning di investire nell’Inter fino addirittura alla poca voglia di tornare a voler alzare trofei e di scalfire quella che è l’egemonia incontrastata da parte della Juventus, guarda caso la squadra dove Marotta lavorava fino all’altro ieri e per la quale, secondo certi in odore di complotto continuo, persevererebbe ad avere attenzioni e cure particolari anche a distanza. Fino ad agitare lo spettro dell’addio anticipato, ipnotizzati ancora da quanto avvenuto con Walter Sabatini e anche dalle ultime parole dell’uomo oggi alla Sampdoria.
Argomentazioni di dubbio valore, che confrontate con quelli che sono semplici dati di fatto si sgonfiano facilmente come un palloncino svuotato dell’aria o dell’elio. Anche perché poco corrispondenti a quelle che sono le tesi sostenute da Marotta: dove sarebbe l’errore, ad esempio, nel dire che la Juve rappresenta indubbiamente l’unica società punto di riferimento nella gestione virtuosa di una società calcistica, al di là dei modi e del contesto nel quale il gap tra la società della Continassa e gli altri club nazionali si è sviluppato fino a diventare praticamente una voragine? Impossibile, forse, pretendere che lo strappo venga ricucito in poco tempo proprio perché mancano le condizioni strutturali per poterlo anche solo immaginare: il dazio da pagare per questi anni di forzata impasse da parte di tutti mentre la barca bianconera viaggia a vele spiegate rimarrà enorme ancora per molto, anche perché se da un lato si vuole continuare nel percorso di rafforzamento, dall’altro sicuramente non si rimarrà certo a guardare e a bearsi dei successi recenti ma si lavorerà indubbiamente per aumentare la qualità della rosa e consolidare il ruolo di potenza d’Europa, col risultato lapalissiano di una distanza che almeno per un po’ è destinata a rimanere invariata. E allora, non c’è nulla di male nel dire che l’obiettivo è quello di provare a dare fastidio all’establishment seppure con mezzi diversi, anche se anni di vacche magre e di delusioni portano a pensare che questo sia solo un premio di consolazione.
Altro punto della questione: gli investimenti. Limitati alla costruzione della squadra, visto che altri tipi di investimenti per l’Inter, checché se ne dica, la proprietà di Nanchino li ha garantiti eccome. Anche qui, bisogna partire da un presupposto che è come l’uovo di Colombo: fine del famigerato settlement agreement non significa fine del Fair Play Finanziario, anzi. La normativa introdotta con tanto affetto dal signor Michel Platini (con la compiacenza di alcuni ‘padroni del vapore’ dell’epoca, specie italiani) permane e anzi è destinata ad aggiornarsi ulteriormente con nuove misure e nuovi parametri da rispettare e ai quali non si può sfuggire, e chi ama guardare in casa d’altri molto probabilmente lo capirà a breve.
A questo carrozzone normativo penalizzante per le velleità dei nuovi proprietari, davanti al quale però tanti stanno aprendo chissà per quale motivo ora gli occhi, l’Inter ha dovuto fare di necessità virtù; e anche ora che finalmente l’auto sarà liberata dalla ganascia, sarà impossibile pretendere subito fiumi di milioni. Ci saranno sempre da fare analisti costi-benefici, bisognerà capire su chi puntare anche perché non servono rivoluzioni di alcun tipo e anche proprio economicamente e progettualmente parlando, al di là di quelli che possono essere gli aspetti ‘emotivi’ analizzati ieri, alla fine potrebbe essere confermato come allenatore Luciano Spalletti, scenario impensabile fino a poche settimane fa. Ma ciò non toglie che si potrà lavorare in condizioni diverse, con una base economica ampliata con lavoro certosino in questi anni.
Tutto questo certamente Marotta lo ha ben chiaro e vuole renderlo chiaro alla più vasta platea possibile. Lui che non è un dirigente di quelli che magari vorrebbe tutto e subito e che mal sopporta le attese, ma anzi ha dalla sua il fatto di aver costruito la Juventus di oggi partendo da una squadra reduce da due campionati anonimi e iniziando il nuovo ciclo vincente in ambito nazionale con una rosa non particolarmente ricca di campioni affermati. E certamente Marotta ha ben chiaro che riproporre lo stesso modello all’Inter sarà indubbiamente difficile per contingenze varie ma che non è impossibile tornare a ritagliarsi un proprio spazio nei quartieri d’élite.
Il tutto con metodo, programmazione e soprattutto realismo, che è una cosa diversa da quel realismo da ‘più realisti del re’ nella concezione dello storico francese Adolphe Thiers, riassumibile come da dizionario: “Sostenere un'idea, una tesi, un diritto o simili con maggior accanimento di chi vi è direttamente interessato. Anche essere intransigenti, intolleranti circa un dato argomento”. Anche se dall’altro lato, un re da difendere probabilmente non c'è.
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