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Il problema che l'Inter non vuol risolvere

di Lapo De Carlo

La sconfitta contro il Napoli non ha lasciato nulla, non ha insegnato nulla e non accadrà nulla in questa stagione che sovvertirà il trend, al punto da fare una clamorosa rimonta Champions. Forse un sussulto. So che Banega, Kondogbia, Miranda, Perisic, Joao Mario, Candreva e persino Ansaldi, prima dell’Inter, erano giocatori e professionisti migliori di quelli che indossano il nerazzurro con tanta goffa e irritante pigrizia. C’è una spiegazione. Da quando seguo, amo e racconto l’Inter ogni momento critico vissuto è stato dipinto con il senso del dramma e il grilletto puntato verso il colpevole di passaggio. Dal 2010 ad oggi l’esercito dei responsabili è aumentato in maniera esponenziale e i danni quasi sempre aumentati, nonostante le cause apparenti siano state esonerate, allontanate o vendute.

L’esercizio di decifrazione del problema ha stolidamente trovato nell’allenatore il colpevole preferito. Ogni volta, o quasi, che questo è stato rimosso le cose alla distanza sono andate anche peggio. Ogni tipologia di giocatore, ogni calciatore, a prescindere dalla sua storia personale e da quanto fatto nel recente passato, una volta indossata la casacca nerazzurra ha fallito. Nonostante questo la direzione dell’insofferenza e lo spartito dell’impianto accusatorio non sono mai mutati. In questi anni le colpe del tecnico sono state triplicate, la frustrazione ha palesemente colpito tifosi e una certa stampa. La strisciante (prima) e pressante (poi) richiesta di esonero ha ottenuto sempre successo e l’allontanamento è stato salutato con la rinnovata convinzione che con quell’allenatore non si potesse andare avanti. La modalità è un po’ come quella del tizio che ha mal di testa e invece di capirne le cause va avanti tutta la vita a imbottirsi di antidolorifici. L’Inter è questa. Non va mai alla radice del problemi, non ha il coraggio e tantomeno la cultura per lavorare da grande club. E’ qualcosa più di una sensazione che l’Inter, oggi ancora più di ieri, sia un luogo dove si combattono piccole guerre e molti lavorino più per se che per una causa comune.

Moratti non c’è più, se non nella penombra, Branca è altrove, Mazzarri allena in Inghilterra, Mancini non allenerà più l’Inter. Dunque? Se dovessi elencare gli eventi clamorosi di questi anni rinnoveremmo il nostro sbalordimento per i danni incalcolabili all’immagine e al prestigio di una società sgusciata come un avocado, dopo il triplete, da una serie di errori commessi con una puntualità che dovrebbe insospettire tutti. La società Inter agisce da anni come una perdente di successo. Si chiude a riccio senza rispondere alle critiche, si impermalosisce, difende le proprie scelte e le rinnega meno di una settimana dopo, cambia uomini e immagine senza andare al nocciolo della questione. Oggi non so davvero che cosa faccia Thohir all’Inter, che cosa pensi Zhang e persino Tronchetti Provera, lo sponsor principale, il quale si è speso per il ritorno di Moratti, ha presentato Gabigol come un fenomeno, ha criticato la proprietà cinese e ha evocato Messi. Ausilio dice intanto che non è un problema il suo rinnovo di contratto ma io guardo all’Inter e non vedo un interlocutore.

Ci sono logiche politiche e sistemiche, all’interno di questo coacervo societario, che impediscono di avere una dirigenza forte e riconoscibile e un allenatore, pensate che rivoluzione, che rimanga in panchina per almeno tre anni. Non accade dal primo Mancini e, prima di lui, dal Trap e, prima ancora da Bersellini. L’Inter e i suoi tifosi possono anche respingere al mittente le deduzioni di De Boer “all’Inter non si sa chi comanda”, che fanno rima con quelle di Mancini , il quale chiedeva appunto chi fosse l’interlocutore. Da interista quello che più mi ha fatto male in questi anni è aver conosciuto diversi ex nerazzurri e aver riscontrato che tutti hanno parlato di difficoltà organizzative della società. Oh yes. L’Inter può chiamare anche Simeone e cacciare altri giocatori ma andrebbe gestita con un modello che si rifaccia, quanto meno all’inizio, ad uno standard vincente.

Cosa impedisce ad esempio alla società di avere da decenni un uomo forte, una figura che non sia transitoria come un allenatore ma un direttore generale o amministratore delegato parlante, insieme ad una proprietà presente? Se qualunque giocatore che arriva all’Inter perde il suo potenziale il motivo dipende proprio dallo schema societario. Quello attuale è privo di mentalità vincente, ha troppi colonnelli che si parlano addosso e nessun generale. Se l’Inter resterà questa mettiamoci il cuore in pace, anche se dovesse spendere 300 milioni per il mercato della prossima estate. Se volete chiamarlo “pessimismo” si vede che negli ultimi sei anni devo aver sognato. Amala.


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