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Il ritorno dell'interismo

di Lapo De Carlo

Esattamente una settimana fa scrivevo di Inter-Verona, stordito da un pareggio ingiusto per la logica della partita e maledettamente amaro per lo scenario ancora più cupo che ammantava il futuro dell’Inter. Improvvisamente, venerdì mattina mi sono ritrovato (in tutti i sensi) a dare in diretta a Radio Milan Inter la notizia dell’esonero di Mazzarri e del ritorno di Roberto Mancini. L’evento è letteralmente deflagrato provocando la più grande esplosione di entusiasmo degli ultimi due anni. Non avevo mai assistito ad un minimo storico di passione nerazzurra, come in questi 18 mesi. Forse la maggior parte dei tifosi non è tale. Simpatizza, ama la squadra specie quando vince, o comunque non vive l’Inter con quell’entusiasmo che prescinde dai personaggi che passano e dai risultati.

Ho sentito tanti interisti riferire il disinteresse per la materia calcio, a causa di questa crisi senza fine. E hanno iniziato a sparire dallo stadio, dal divano per seguirla almeno in tv, persino da qualche bar che trasmetteva le partite. Poi la notizia di Mancini ha fatto dire a tante persone, anche insospettabili: ”Tornerò allo stadio”. Questa esclamazione è tra le migliori motivazioni che una dirigenza potesse trovare per decidere questo cambio. Da venerdì mattina oltre al giubilo e al gaudio della popolazione nerazzurra è però partita un’imponente flotta di luoghi comuni dedicati alla decisione di Thohir. Cominciamo: "La solita Inter che cambia gli allenatori”. Il genere di persona che fa questo tipo di riflessione è legata a una verità di superficie. Per loro un cambio vale l’altro, gli allenatori sono più o meno sullo stesso livello. Una battuta di circostanza priva di contenuto ma pregna di elementi statistici. Almeno quelli ci sono.

E poi: “Via Mazzarri, però non è tutta colpa dell’allenatore, ogni volta all’Inter sanno solo mandare via il tecnico”. La prima parte di questa conclusione è una verità ovvia, eppure ripetuta all’infinito come se società e tifosi non ne fossero già consapevoli. La seconda parte dimentica che una dirigenza è più difficile che si dimetta e che i giocatori possono essere acquistati e ceduti anche durante la stagione. Criticare l’Inter, specie in questo periodo è legittimo ma c’è la new entry tra le valutazioni contraddittorie. Ovvero Thohir che non spende e che poi, quando lo fa, non può permetterselo. Dovrebbe essere evidente che un investimento ha il preciso intento di migliorare la situazione e poi di generare un circolo virtuoso che generi anche un profitto. 

Con Mazzarri la gente si era allontanata, con Mancini è già tornata ad entusiasmarsi. Avere un San Siro con ventimila persone a partita non ti permette di avere un indotto come quello che hai con almeno cinquantamila. La gestione Mazzarri è stata caratterizzata da un numero di errori impressionanti. Al primo anno all’Inter ha superato solo nelle ultime quattro giornate la quota punti di Stramaccioni, con 18 partite in meno. Ha avuto un discreto inizio e almeno due crisi tecniche inspiegabili, le quali hanno portato l’allenatore a fornire la prima stesura delle giustificazioni che il secondo anno sarebbero aumentate esponenzialmente. Nello stesso primo anno ha detto che gli sarebbe piaciuto arrivare nell’Inter che spendeva, sottolineando la povertà di questa. Ha ripreso più volte pubblicamente Kovacic costringendolo a fare anche il mediano, ha dato vita a due tra i derby più brutti della storia e, in generale, al gioco più noioso che si sia mai visto a San Siro.

Il secondo anno ha iniziato bene e si è improvvisamente imbruttito prendendo sette gol in sette giorni da Cagliari e Fiorentina, ha infilato una serie di conferenze stampa che hanno esaltato la ruvidità dell’uomo a scapito dell’elasticità mentale. Ha mostrato il vero limite di un professionista che ha anteposto sé stesso a tutti. Si è auto celebrato e sempre assolto da qualunque responsabilità. Aveva persino difficoltà a parlare in inglese con Thohir. Ora, si difenda quanto si vuole Mazzarri ma per tre milioni e mezzo di euro all’anno (anche molto meno) io imparo l’inglese, il francese, il tedesco lo swahili e pure l’esperanto. A maggior ragione se per lavoro. Il gioco dell’Inter, a differenza di quello che si è detto c’era. Ma era dannatamente prevedibile, macchinoso e fondato sul concetto che gli uomini vengono dopo lo schema.

Potrei andare avanti ma mi accorgo che sono solo ad un quarto. Riaccolgo con entusiasmo Roberto Mancini, pur con la perplessità per il maldestro allontanamento di Beppe Baresi dalla carica di vice. Sarà stata la fretta. Ora però è tornato un uomo che sa vestirsi di nerazzurro, conosce la parte, ha delle idee tecniche più adatte all’Inter, con la quale ha già vinto scudetti, supercoppe e coppe Italia. È ambizioso, non limita la rosa a disposizione ma esalta le sue qualità. Non credo che arriverà la Champions ma ero stanco di sentire stormi di normalizzatori definire la squadra: mediocre. Non ci saranno Messi e Ronaldo ma Handanovic è un ottimo portiere, Ranocchia ha qualità e gioca in nazionale, Vidic, che non aveva mai giocato a tre e ricordo bene cos’era successo a campioni costretti a giocare così con Gasperini. E poi Kovacic, Hernanes, Dodò, Osvaldo, Icardi e Palacio. Non sono giocatori mediocri. Non ci vinci lo scudetto ma non sei da nono posto con un gioco scadente e un pubblico in dormiveglia. Meglio di così può solo andare. Bentornato Mancio.


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