Il senso del pericolo
Di fronte al pericolo, di fronte al rischio scattano, negli individui, alcune reazioni. Che sono puro istinto, riflessi incondizionati. Per proteggersi. O per nascondersi. E poi esiste la percezione del rischio e del pericolo che è invece legata a un aspetto sociale e culturale. Si sceglie volontariamente di esporsi a un pericolo e si accetta, consapevolmente, di correre un rischio. Con la certezza, o solo la probabilità o la possibilità, che qualcosa di negativo possa succedere e in effetti succeda.
Per l'Inter, a dire il vero, la sensazione del pericolo è una condizione costante. Persino se stai vincendo 2-0 in casa col Torino dopo un primo tempo perfetto, tanto per dirne una e per non andare troppo lontano. E la paura porta con sé, tra i suoi istinti irrazionali, conseguenze come il panico, il black out. Ma non è questo il punto. Il punto è che il vero pericolo, al momento, è la Spal: dopo cinque vittorie consecutive tra campionato e Champions che hanno stravolto giudizi e scale di valore, perché siamo essere umani e cambiamo idea facilmente, arriva la prova "del sei".
A Ferrara per continuare ad aggiungere punti alla classifica, morale alla truppa, inchiostro ai titoli trionfalistici. Eccolo qui, un altro pericolo: la scomoda posizione di chi viene preso sul serio, di chi ha ottenuto consenso sufficiente al punto che ora ci si aspetta qualcosa, un obiettivo concreto. Oppure, viceversa, si rischia, senza una vittoria, di ridare fiato ai malumori, ai dubbi, alle critiche. Al panico che immobilizza, blocca e riempie la testa di cattivi pensieri. Tutto esagerato? Forse, ma così vanno le cose. O è tutto bello o è tutto brutto nonostante, come da antico proverbio, la virtù stia nel mezzo. Siamo esseri umani. Il risultato con cui l'Inter rientrerà a Milano domenica sera metterà Spalletti come primo inseguitore di Juve e Napoli o lo ri-metterà sulla graticola costruita dai detrattori secondo cui manca sempre il salto di qualità definitivo, la prova provata, l'incapacità di incepparsi sul più bello. Perché ora il bello viene davvero.
E per sopravvivere a tutto questo, come quando si chiudono in fretta le finestre all'arrivo di un temporale, la parola magica è "mentalità". Ne ha parlato a lungo il tecnico nella conferenza stampa della vigilia: "Vedremo se questa mentalità che abbiamo evidenziato è a pelle o sotto pelle. Se è a pelle c’è il rischio che dopo un paio di docce vada via, se è sotto pelle allora ci rimane ancora addosso". E per mentalità si intende la mentalità vincente. Quella che ha portato la squadra a rimontare, a resistere e strappare coi denti, col sudore e con tanta voglia certe vittorie vitali. Più per l'effetto che hanno nella testa e nell'orgoglio che per i punti che fanno risalire in classifica. Perché la testa fa la differenza spesso più delle gambe. O meglio, le gambe vanno di conseguenza di come funziona la testa.
E allora l'Inter che a Ferrara farà un po' di turn over (cosa che a Spalletti, come ad ogni allenatore, non piace sentir dire perché per loro, ed è sacrosanto così, son tutti titolari) dovrà dimostrare di avere sottopelle e ancora addosso i brividi della Champions, le fatiche di certi successi, il sorriso di chi ha visto l'effetto che fa. Come si scriveva in un editoriale pubblicato alla vigilia della prima di campionato, l'Inter favorita non lo è e continuerà a non esserlo nemmeno, eventualmente, in vista di un derby che tra l'altro, storicamente, resuscita chi sta peggio. Figuriamoci per un posto tra le prime del campionato o tra le qualificate agli ottavi di Champions.
E se per qualche strano caso del destino, al termine di qualche altra partita col fiato sospeso, di qualche altra vittoria entusiasmante o sofferta, dopo l'ennesima volta in cui l'avrà ripresa Vecino o rimessa in piedi un gol di Icardi, insomma se per qualunque assurdo o logico motivo l'Inter dovesse ritrovarsi, di nuovo, addosso l'etichetta di favorita in qualcosa, poco deve importarle: ciò che importa è che questa squadra non si senta mai tale. Deve sempre sentire il brivido della sfida, della gara da dentro o fuori, deve sentire che sta rincorrendo, che sta rimontando. Deve continuare a correre senza guardarsi intorno, avanti o indietro.
Non essere, nè soprattutto sentirsi, favorita può rivelarsi arma letale oltre che eredità dello spirito "mourinhano" del "noi contro tutti" (perché quel signore lì non era un mago del calcio ma più semplicemente uno che aveva colto come pochi l'essenza e l'anima di un club e della sua storia). L'Inter continui la sua corsa, qualunque sia il risultato di Ferrara, senza farsi bloccare dal senso del pericolo: quello di sentirsi forte, compiuta e arrivata (tra le grandi) o quello di finire per sentire gli scricchiolii e i mugugni di quelli pronti al varco a dire "eccola lì, lo sapevo". Nessuno lo può sapere dove può arrivare l'Inter che in queste ultime settimane ha mostrato di avere le palle (si può scrivere?), una condizione e un gioco migliorati ma migliorabili e una mentalità che giorno dopo giorno va confermata sotto la pelle. Ridendogli in faccia, al senso del pericolo. Col rischio, certo, di scoprire quanto male faccia. O magari no.