Inter, basta non essere masochisti (che sarebbe il minimo)
Il Frosinone è tutto tranne che un avversario da sottovalutare. E anche i punti di vantaggio sul quarto posto sono tutto tranne che un fattore di tranquillità. Perché il rischio per l'Inter è proprio questo: sentirsi tranquilla e sentirsi, di conseguenza, esclusa dalla bagarre della lotta Champions.
Teoricamente ai nerazzurri basterebbe evitare di essere masochisti in questo finale di stagione: non sono rimasti obiettivi particolari se non la conservazione di un terzo posto che il passo lento delle inseguitrici ha consentito di riguadagnare dopo un periodo di flessione e ora di potersi tenere stretto senza troppi patemi. Basterebbe, insomma, un finale di stagione in cui all'Inter si chiede solo di non farsi del male. Ma non si tratta affatto di una banalità.
Ecco perché Frosinone è già un primo incrocio determinante o, meglio, determinante sarebbe non perdere punti visto che poi le successive sfide contro Roma e Juventus non presentano nulla di facile e scontato. In Ciociaria i nerazzurri dovrebbero presentarsi col coltello tra i denti e non con l'aria scanzonata di chi ad aprile non ha più molte motivazioni o addirittura conta i giorni che mancano alla fine della stagione per salutare la truppa. Perché così il rischio di farsi risucchiare nell'ingorgo dei disperati che si giocano punto a punto l'ingresso nell'Europa che conta è dietro l'angolo.
L'insolito messaggio social di Spalletti sembrava voler mettere in guardia proprio da questo: "Non sono le partite della prossima stagione a darci un posto in Champions", ha scritto il tecnico su Intagram, proprio come a voler richiamare al presente chi rischia già di pensare a un futuro lontano da Milano. Anche se poi Spalletti è proprio il primo a sapere che molto probabilmente il suo stesso futuro sarà altrove. In parte per limiti suoi, in parte perché certe dichiarazioni (forse sbagliate nei modi e nei tempi ma non certo nei contenuti) hanno scavato solchi impossibile da limare e in parte perché i continui assestamenti societari (la definitiva uscita di scena di Thohir e l'arrivo di Marotta) lasciano a chi è arrivato a occupare un ruolo importante la facoltà di decidere gli uomini-chiave. E quello dell'allenatore è decisamente un ruolo-chiave.
Ma per pensare a questo, appunto, ci sarà tempo. Ora si chiede solo a dei professionisti di fare esattamente ciò che ci si aspetta da un professionista: il proprio lavoro fino in fondo, indipendentemente da quello che sarà. Per amore di un lavoro che sarebbe anche una passione, per rispetto verso se stessi ma soprattutto verso la storia di un club e il sostegno dei suoi tifosi. Che in fondo sarebbe poi anche il minimo che ci si possa aspettare, esattamente come il minimo sarebbe la conservazione del terzo posto.
E poi c'è il ballottaggio Lautaro-Icardi. Uno ha avuto pazienza anche quando giocava poco o niente, è stato al suo posto e per l'unica cosa fuori posto (un tweet del padre) ha chiesto scusa, ha aspettato la sua occasione e l'ha sfruttata con gol, gioco, grinta e voglia. Uno rappresenta il futuro dell'Inter e buona cosa sarebbe riconoscergli l'ottimo lavoro fatto quando ha rappresentato l'unica soluzione possibile. E in questo Spalletti una piccola colpa ce l'ha: il vero Lautaro lo si è visto solo quando il caso Icardi non ha lasciato alternative. Prima non si era quasi mai trovato il modo di farlo esprimere e capire quanto potesse valere. Spalletti ha lasciato intuire ("sono giocatori simili") che insieme dall'inizio difficilmente li si potrà vedere confermando una tendenza che dura da tutta la stagione.
Come ha già dimostrato a Roma pur sapendo di avere il destino segnato (o forse proprio grazie a quello), Spalletti non è uno che teme di fare scelte impopolari: sceglie ciò che reputa il meglio per portare la squadra all'obiettivo (i giallorossi al secondo posto con tanto di record di punti nella storia del club e con Totti in panchina). All'Inter in questo finale di stagione non servono record ma solo la capacità di non farsi del male.