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Inter, ora sei davanti a un bivio

di Maurizio Libriani

Per la serie: al peggio non c’è mai fine. L’Inter post-triplete si dissolve inesorabilmente nel pantano di Verona. Il trolley di Rafa Benitez pronto a prendere la via della Spagna, con buona pace di tutti i diretti interessati? L’aria melanconica che ormai serpeggia nei meandri nerazzurri non lascia che presagire cattivi pensieri. Dal 22 maggio ad oggi, 21 novembre, sono passati 183 giorni: un processo capillare di decomposizione. Il canovaccio della partita del “Bentegodi” ha visto la solita squadra svuotata nel cuore e nelle gambe, quasi inerme nel controbattere le variazioni tattiche che qualsiasi avversario apporti nel corso del match. I campioni d’Italia e D’Europa uscenti alla prima difficoltà evaporano, concedendo praterie per i fruttuosi capovolgimenti di fronte avversaria. Una squadra, o quel che ne resta considerando anche alcuni primavera (inadeguati) inseriti a partita in corso, che si trascina pesantemente, avvolta in se stessa, promotrice di una manovra orizzontale con uomini che si nascondono dietro l’avversario o che non vedono l’ora di deresponsabilizzarsi: il trionfo della personalità. Sui movimenti senza palla calerei solertemente un velo pietoso. Schema offensivo preferito: palla ad Eto’o e speriamo che inventi qualcosa.

Quel che imputo comunque maggiormente a Benitez, e che ritengo assolutamente inaccettabile, riguarda l’inadeguata preparazione atletica (ma perché tutte le squadre avversarie dimostrano, costantemente, una maggiore freschezza fisica?), responsabile di una mattanza che poi puntualmente si è riverberata sui risultati e sulle convinzioni intrinseche dei sopravvissuti. Il buon Rafa, che ormai subisce mestamente il corso degli eventi, dovrebbe comunque spiegare, e con esso il preparatore atletico Paco De Miguel, come è possibile che oltre all’infinità di stiramenti del bicipite, quadricipite o l'adduttore e ricadute annesse, i superstiti, dopo più di quattro mesi di lavoro continuino a trascinarsi stancamente. Mistero! Ovviamente le responsabilità dei giocatori non sono inferiori al buon tecnico di Madrid. Palloni d’oro e presunti tali, abulici, in letargo inoltrato e progressivo, dediti più a controbattere ai dettami impartiti dall’allenatore.

Nella trasferta odierna, note di demerito per il signor Santon, tanto declamato e sponsorizzato per una maglia azzurra, parzialmente frenata secondo la critica dalle scarse apparizione sin qui concessegli, che purtroppo per l’occasione ha dimostrato, per l’ennesima volta, imbarazzanti lacune nella fase difensiva, nei contrasti aerei, già palesati a Lecce, sintomo di approssimativa cattiveria agonistica. Goran Pandev che ormai sembra l’ombra del giocatore che aveva trascinato la squadra nei primi due mesi del 2010, riuscito nella tutt’altro che semplice impresa di colpire un palo a porta vuota, l’evanescente Biabiany, che al di là di limitati mezzi tecnici, fatica terribilmente nei movimenti senza palla. Il pallone d’oro in pectore Sneijder, autore dell’ennesima partita incolore, più preoccupato di discutere con i compagni che di regalare assist e geometria nel marasma generale. Potrei continuare ma mi sembrerebbe veramente di “sparare sulla Croce Rossa”. Dulcis in fundo, inaspettato e regalato dal buon Eto’o, unico insieme all’inossidabile Lucio a tenere ancora in piedi le sgretolanti mura. Se anche lui, esempio di giocatore corretto e irreprensibile, si lascia andare ad una reazione scomposta da peggiori campetti amatoriali di periferia, il dado è tratto.

Una spirale profonda, nel momento di massima desolazione, in cui i vertici di Corso Vittorio Emanuele sono chiamati a mantenere un auspicato equilibrio, una forzata maturità. La squadra, o quel che ne resta, considerando assenti e presenti virtuali, mercoledì è chiamata al primo vero spartiacque della stagione, un match di non ritorno, sconsigliato ai deboli di cuore: timori striscianti, e non potrebbe essere altrimenti. Ovviamente il tanto decantato cambio tecnico, almeno personalmente, non potrebbe che sortire effetti ancora più dissestanti, oltre naturalmente a confermare linee strategiche da prima repubblica nerazzurra, deja vu che aleggiano ad alimentare incubi che mai avremmo pensato di rivivere. Un sostituto del tecnico spagnolo, oltre ad alimentare alibi ulteriori per i giocatori, potrebbe suscitare un’idea di debolezza, indifferente, di ambiente e società. Lo stesso presidente nerazzurro non più tardi di ieri aveva rassicurato sul proseguimento di rapporto col tecnico spagnolo anche al cospetto di una sconfitta che poi puntualmente si è verificata. Una fiducia a tempo, limitato, si intende. Forse il lato razionale di Moratti che ha permesso la conquista di 13 trofei in cinque anni è giunto nel suo momento di massimo conflitto. Tre giorno possono essere pochi, tanti o semplicemente sufficienti per resettare e ripartire, almeno per ritrovare una parvenza di onorabilità. Per arrivare a Roma le strade sono tante e diverse: Benitez dixit. L’augurio, sincero, è che sbagliando il prossimo incrocio, quelle stesse non debbano portare il tecnico direttamente a Madrid.
 


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