Interismo, isterismo e sospensione del giudizio
Una vittoria nelle ultime dieci giornate di campionato, rumors destabilizzanti di mercato, presunti dissidi interni, squadra per la prima volta fuori dalla zona Champions League e calendario che presto presenterà un conto salato dopo aver gettato al vento molti punti contro avversari medio-piccoli. Insomma, definire negativo il momento dell’Inter è puro eufemismo. Ed è paradossale che, in questo momento storico e dopo tre mesi di lacrime, i nerazzurri siano ancora in corsa per terzo o quarto posto.
Non è un caso se da fonti più o meno affidabili filtri l’ipotesi che sabato sera, quando alla Scala del Calcio si presenterà per la prima volta nella sua storia il Benevento, sia già pianificata una contestazione contro tutti, dai giocatori alla dirigenza e, chissà, anche l’allenatore. Un film già visto al Meazza che inizia con striscioni polemici e, se in campo entro un’ora il risultato e la prestazione non convincessero, sfocerebbe in qualcosa di più assordante. Contestare è un sacrosanto diritto del tifoso, soprattutto quando pagante. Dopo un sostegno incondizionato anche ai primi colpi di tosse, oggi è quasi inevitabile che ci sia rabbia mista a rassegnazione, una combo difficilmente arginabile. Gli hashtag su Twitter si sprecano, i post sono tendenzialmente molto duri e non risparmiano nessuno perché, oltre ai giocatori che in campo non stanno rendendo secondo le legittime aspettative, se oggi la situazione è questa tutti gli attori della filiera hanno contribuito. In altre parole, il passaggio dall'interismo all'isterismo si è completato.
Ad ogni modo, per quanto io stesso sia particolarmente contrariato, mi chiedo a cosa serva manifestare ‘contro’ in questo momento storico. La contestazione ha senso se finalizzata a ottenere un vantaggio o un cambiamento, un po' come gli scioperi. Altrimenti si traduce in mero sfogo personale che non aiuta neanche ad andare a dormire sereni. Faccio un esempio: Brozovic. Per fortuna il ‘caso’ è rientrato grazie anche alla mediazione pubblica di Spalletti, ma se così non fosse stato avremmo rischiato di perdere definitivamente dal punto di vista psicologico e ambientale il giocatore fino al termine della stagione. Si dirà: chissene, tanto sono anni che promette e non mantiene. Vero, il croato è l’incarnazione del punto interrogativo, sfido chiunque non sia il suo agente a negarlo. Ma si dia un’occhiata al reparto di centrocampo a disposizione oggi: Borja Valero, Vecino, Gagliardini, Rafinha e, appunto, Brozovic. Posto che il brasiliano non sia ancora pronto per giocare una partita intera, o anche più di un’ora, gli altri stanno vivendo, chi per una ragione chi per l’altra, un periodo problematico e non danno più garanzie. Perdere definitivamente un’alternativa come l’ex Dinamo, per quanto poco incisiva (eppure tre assist nelle ultime tre presenze…), ridurrebbe ulteriormente all’osso le opzioni in mediana, rendendo ancora più complicata la corsa verso l’obiettivo. Per questa ragione ritengo che contestare oggi non sia d’aiuto a nessuno.
Il mio non è un appello alla calma o alla soppressione delle emozioni, ci mancherebbe. Invito semplicemente a pazientare, a resistere, a posticipare eventualmente alla fine della stagione il proprio sfogo, quando sarà tempo di bilanci e, si spera, di scelte definitive su tutti i fronti. Non si tratta di essere aziendalisti, per quanto ci sia chi definisce così chi prova a smussare gli angoli e a offrire chiavi di lettura alternative e meno emotive. Si tratta solo di avere buon senso, perché se è vero che l’amore per l’Inter porta anche a reazioni incontrollate, proprio perché infinito, è altrettanto vero che finché l’obiettivo resta a portata di mano bisogna sostenere tutti, come avvenuto anche durante i primi preoccupanti colpi di tosse successivi alla fase di maggiore esaltazione. Se avere fiducia finché c’è speranza, in un contesto in cui resta solo quella, e sperare che tutti i tifosi siano compatti, significa essere aziendalisti, allora evidentemente lo sono. O semplicemente preferisco attendere che sia tutto finito per manifestare il mio personale dissenso.