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Io comment

di Alessandro Cavasinni

Potremmo stare qui a parlare di prescrizioni vere per doping (o meglio: rigettata la sentenza di assoluzione, poi non luogo a procedere per intervenuta prescrizione per quanto riguarda il confermato abuso di farmaci) e prescrizioni surreali per processi mai avvenuti, di sudditanza psicologica verso le grandi squadre e di sudditanza psicologica al contrario, di errori arbitrali e di orrori arbitrali.

E invece parliamo di calcio, ma stavolta ne parliamo a modo mio. Non mi vedrete mai scrivere e parlare di merito. Nel calcio non esiste il merito. Esisterà solo nel giorno in cui vedrò in un tabellino quanto segue: Italia batte Spagna per due meriti a zero meriti. Finché al posto di 'merito' ci sarà scritto 'gol', io non parlerò mai di merito.

Così come non parlerò mai di bel gioco. “Ha giocato BENE, la squadra MERITAVA comunque SUL CAMPO”. Orrore. Chi stabilisce il confine tra giocare bene e male? Cosa significa giocare bene? Qual è il limite che separa il meritare dal non meritare?

Il calcio non è la boxe. Non si vince ai punti. Se una partita finisce 2-2, le squadre guadagnano un punto ciascuna, non si assegna la vittoria a chi ha tirato più volte in porta o a chi ha avuto più possesso palla. E' ora che ve lo mettiate bene in testa. Nel regolamento del gioco del calcio, è specificato che vince la squadra che fa più gol, non quella che merita di più. E le regole, io, le rispetto.

Dopo il pareggio di ieri, è tornato in voga il buonismo e la meritocrazia. “Il Cagliari meritava comunque il pareggio, al di là degli episodi”, dicono. Ci rendiamo conto dell'assurdità di tale tesi?

Un esempio? Ve lo faccio. Prendiamo un anziano di 91 anni (91, toh! Come il minuto del rigore non fischiato a Ranocchia...). Ormai malconcio, in punto di morte. E' stato sempre un fervente cattolico, di quelli che crede dogmaticamente a Paradiso e Inferno. Per i primi 90 anni devoto, mai uno sgarro, irreprensibile. Nell'ultima settimana di vita, a 91 anni, stupra una bambina. “Eppure – direbbero loro – al di là dell'episodio finale, merita comunque il Paradiso”.   

Il calcio è così. In campo vanno tre squadre: le due contendenti e quella dell'arbitro. Se Milito sbaglia a porta vuota, peggio per lui e per l'Inter. Se Pinilla colpisce il palo, peggio per lui e per il Cagliari. Ma se sbaglia l'arbitro, peggio per chi ci rimette. E ci sono errori ed errori. Quello sul fallo di mano non visto in occasione del raddoppio di Sau, ad esempio, lo accetto. Ci sta che non si distingua braccio da spalla. Amen. Ma il rigore su Ranocchia no, è inaccettabile. Giacomelli vede tutto e lo testimoniano le immagini: l'arbitro porta quasi il fischietto in bocca, corre verso il dischetto e traccheggia qualche secondo, come ad attendere la conferma dall'assistente di porta. Non decide né l'uno, né l'altro. Inaccettabile – ribadisco – perché deliberatamente si indirizza una gara, come fu per il mancato secondo giallo a Lichtsteiner. Vedi il fallo, dai punizione, non puoi non ammonire. 

Quelli che non perdono occasione nel ricordarci che "l'arbitro è come il giocatore: fa parte del gioco", sono gli stessi che poi ci annoiano con "basta parlare di arbitri, parliamo di campo". Eppure, seguendo questo banale filo logico, si arriva a una conclusione semplicissima: se è vero che l'arbitro fa parte del gioco e si vuole parlare di calcio, ecco che parlare di arbitri rientra nel parlare di calcio. Elementare.

Parlarne non significa né fare dietrologia né credere in complotti. E' solo cronaca, che deve essere fatta proprio perché l'arbitro – come amano ripeterci i benpensanti – è parte integrante della partita. E in quanto tale va sottoposto anche a giudizio critico.
“Voi dell'Inter dovete stare zitti!”, pare abbia gridato Giacomelli in risposta alle proteste dei giocatori nerazzurri. Farebbe piacere a molti far finta di niente. Mi spiace per loro, saranno delusi. Io comment.


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