Joao Mario-Inter, storia di un equivoco. Prima tattico, ora di mercato
In un tranquillo martedì novembrino, di quelli vissuti dagli italiani nell'attesa lancinante dell'andata del playoff mondiale con la Svezia, il mondo Inter è stato scosso dalle dichiarazioni rilasciate in patria da Joao Mario: nel clima storicamente meno assillante che si respira nel ritiro di una Selezione, il portoghese ha trovato l'ispirazione per fornire un assist inaspettato al club nerazzurro perché valuti un suo eventuale addio a gennaio. Un passaggio decisivo ad Ausilio e Sabatini, di quelli che in campo il trequartista atipico ne ha confezionati pochi, a giudicare dal numero che porta sulla maglia.
L'ex Sporting Lisbona, a dirla tutta, dieci non lo è mai stato in carriera, anche se sulle sue spalle ha dovuto sopportare il pesante fardello di un equivoco tattico che lo segue sin dal suo arrivo a Milano e che, ineluttabilmente, ne ha condizionato i giudizi. E pensare che all'Europeo si era in messo in vetrina per quello che è sempre stato: una mezzala (all'evenienza ala) di tecnica non propriamente eccelsa, fisicamente robusta per tenere un scontro spalla a spalla con un certo Pogba, ma senza quelle armi letali che si riconoscono normalmente a un fantasista o, al più, a un assaltatore. Ovvietà sotto gli occhi di tutti, ma non dei molti che ai tempi rimasero offuscati dall'esborso che Suning sostenne per prelevare il giovane centrocampista di Porto dallo Sporting. Quarantaquattro milioni, si scoprirà a posteriori spulciando il bilancio, la cifra investita dai nerazzurri per assicurarsi le prestazioni dell'allora campione d'Europa, tra i protagonisti di una rassegna che per la sua brevità e collocazione stagionale è sempre da esaminare con il beneficio del dubbio.
E' un fatto acclarato, infatti, che le competizioni che si disputano a giugno, Mondiali o tornei affini, il ritmo sia spesso compassato perché dettato da giocatori usurati dagli impegni con i loro club nel corso dell'anno; è altrettanto pacifico che a quell'andatura, Joao Mario – che proverbialmente non è giocatore veloce a livello di gambe prima ancora che di pensiero – si sia trovato nel suo habitat naturale più che quando deve correre la lunga maratona di un campionato. Una sensazione che si è puntualmente verificata nella scorsa stagione, al suo atterraggio non proprio semplice sull'impervio terreno della Serie A: al netto delle enormi difficoltà attraversate dall'intero gruppo, tra cambi d'allenatori e di metodi di lavoro, l'ex Vitoria Setubal diventa mediano con De Boer, trequartista con Pioli, e in generale vive nel limbo pericoloso di chi non sa di essere titolare o meno. Giocatore che sa fare tutto, ma che non eccelle in niente; interprete che non riesce a maneggiare con cura l'arma a doppio taglio in suo possesso, quella della duttilità.
Oltre che duttile, alcuni gli attribuiscono anche la caratteristica della malleabilità propria del metallo: quante volte, nel periodo della pre-season, abbiamo letto o sentito che Spalletti lo avrebbe trasformato nel nuovo Nainggolan. E il diretto interessato, giusto per mettere il carico, a fine luglio aveva indicato il belga e Marek Hamsik come due punti di riferimento a cui tendere per diventare definitivamente decisivo. Percorso ovviamente lungo e tortuoso quello della consacrazione ad alti livelli in quel ruolo, cominciato però sotto i migliori auspici nelle prime uscite dell'annata in corso, quando Joao era subentrato con l'atteggiamento di chi vuole e riesce a determinare. A tal punto da guadagnarsi questo encomio pubblico dal suo tecnico nel periodo immediatamente successivo alle gare vinte con Fiorentina e Roma: "Sono affezionato di più a chi sa accettare ruoli marginali in un determinato momento. Mi piace per esempio Joao Mario, ultimamente decisivo partendo dalla panchina. Ha mostrato un certo caratterino da leader, sa aggredire il mediano avversario, da trequartista lo fa bene".
Dopo la sosta per le Nazionali di settembre, con la Spal Joao Mario spiana la strada in una sfida altrimenti complicata con un'incursione in area e rigore guadagnato annesso concesso con l'ausilio del Var. Da lì in poi la luce si affievolisce fino a spegnersi definitivamente: col Crotone fatica tremendamente a creare gioco, a Bologna tocca il punto più basso divorandosi una comoda chance dopo lo sparo dello starter ed esce mestamente dal campo anzitempo senza rimpianti per la squadra lasciando il posto al salvatore della patria Eder. La settimana successiva arriva l'esclusione inevitabile dai titolari, bocciatura che non gli impedisce di pennellare dalla bandierina del corner un cross al bacio sulla testa di D'Ambrosio per l'1-0 decisivo a pochi secondi dal suo ingresso in campo. A Benevento strappa una sufficienza stiracchiata, poi è il destino che si accanisce con lui prima del derby, costringendolo a saltare la partita più sentita dell'anno per una tonsillite acuta.
Un imprevisto che Spalletti sfrutta per scolpire sulla pietra la formazione tipo, replicandola fedelmente per cinque gare consecutive. Un undici che, ça va sans dire, non contempla la presenza di Joao Mario. Alias l'uomo a cui non sta più bene ricoprire un ruolo marginale - checché ne dica Spalletti - visto la modalità con cui ha vuotato il sacco non appena ha valicato i confini italiani. "Ovviamente vorrei giocare di più come molti che sono nella mia situazione. Credo che le cose possano cambiare ed è questo quello su cui mi concentro maggiormente: so che giocherò di più, in un modo o nell'altro”, ha detto JM.
Nulla di sconvolgente, se non fosse per quella frase sibillina pronunciata non appena è stato tirato in ballo l'eventuale passaggio al Psg nel mercato invernale: "Le voci sono normali, fanno parte del calcio. Rimango sempre concentrato, non mi distraggo perché sono abituato. Vedremo, ora penso che sia ancora presto, c'è ancora molto tempo prima del mercato di gennaio, e in un certo senso vedrò cosa succederà e poi prenderò una scelta su ciò che è meglio per la mia carriera".
L'ultima frase è significativa, ma non contribuisce a cancellare l'ambiguità dell'interpretazione: il giocatore sembra si stia chiedendo se è meglio fare il panchinaro all'Inter, con prospettive più o meno promettenti di entrare nella rotazione dei centrocampisti di Spalletti, oppure se conviene condividere lo spogliatoio con i fenomeni del Psg per sentirsi realizzato almeno a livello di facciata. Un equivoco, l'ennesimo attorno al portoghese, che questa volta dovrà essere risolto non in campo ma nel mondo fluido del calciomercato. Intanto l'Inter aspetta, in un senso o nell'altro.