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L'apprendista stregone

di Gabriele Borzillo

Adoro il tifoso dell’Inter. È caldo, passionale, rotto ad ogni genere di esperienza calcistica. Piange, ride, si esalta o si dispera. Non esiste equilibrio, non esiste la via di mezzo. Perché tutto è bianco, pardon azzurro, o nero. Il tifoso Bauscia incarna perfettamente il carattere della squadra. Che non è mai scontata, mai razionale, mai assennata. È la storia, la Nostra storia, che lo racconta. Vittorie incredibili da lasciare senza fiato, cadute spaventose che ammazzerebbero (sportivamente) chiunque. Non Noi. Non il tifoso nerazzurro. Il quale continua, imperterrito, a piangere, ridere, esaltarsi o disperarsi per i colori del cielo e della notte. Così, allo stesso modo, con lo stesso dolce martirio e la stessa follia, il popolo della Beneamata crea miti e li distrugge. Ama e odia. Ti porta sul piedistallo e ti fa cadere. Perché dove c’è passione non può esistere ragione.

Veniamo da una settimana piuttosto complicata; aperta da una partita a due facce in quel di Napoli, culminata in un harakiri di massa in una cupa e grigia città tedesca. Due gare illogiche, due sfide in perfetta linea con la storia che ci contraddistingue. Sessanta minuti di poco o nulla sotto il Vesuvio, poi il risveglio. E una mezz’ora finale da incorniciare. Gioco, sovrapposizioni, circolazione rapida del pallone, inserimenti dei centrocampisti, grinta e mordente. Tanto che, al novantesimo, la sensazione era sì di gioia per aver recuperato un risultato che ci vedeva già derisi e vilipesi, ma un retrogusto amarognolo in bocca ci era rimasto; si sarebbe potuto vincere, credendoci un po’ di più. E, comunque, ottimo viatico per la vera prova del nove, diamo per scontato che la CL non è raggiungibile passando dal campionato e che l’EL è a pochi punti di distanza ma con molte avversarie davanti: l’ottavo di finale contro i temibili tedeschi del Wolfsburg, tradotto letteralmente il Borgo dei Lupi, secondo in Bundesliga e che, parliamo di poco più di un mese fa, aveva schiantato niente popò di meno che il Bayern Monaco, indisturbato capolista nonché da tutti gli addetti ai lavori indicato come favorito per distacco nella corsa alla Champions, con un rotondo e sonoro quattro a uno.

Roba da far tremare i polsi il confronto tra una potenza calcistica in forte ascesa, la scuola tedesca neo campione del mondo, e il patetico e martoriato torneo italiota, chiacchierato più per vicende extra calcistiche che non per le mirabolanti gesta tecniche dei suoi interpreti. Invece… Invece capita che si va in Germania e che, in tutti i novanta minuti, i corazzieri teutonici costruiscano una (sì, avete letto bene, una) nitida occasione da gol, minuto novantadue. Eppure usciamo dalla Volkswagen Arena con tre pappine sul groppone. Dopo essere andati in vantaggio, dopo aver incredibilmente sbagliato il pallone del due a uno (nel frattempo un cortese regalo della coppia JJ-Carrizo aveva inopinatamente consentito il pareggio nel primo vero tiro in porta) e, in pratica, dopo non aver rischiato nulla o quasi per l’intero incontro. Misteri del calcio.

Dalle 21.00 di giovedì si apre il dagli all’untore di manzoniana memoria. Carrizo, un onesto pedatore incappato con ogni probabilità nella peggior serata della sua carriera, viene additato come il responsabile della terza guerra mondiale. Carrizo, quello esaltato non più di un paio di settimane fa per le buone (in alcuni frangenti ottime) parate sfoderate nel sedicesimo contro i campioni di Scozia del Celtic di Glasgow. Carrizo, quello che tanto bene si era comportato durante l’infortunio occorso ad Handanovic poco tempo fa. Carrizo, quello per cui sui social e non solo (i media sono maestri nell’arte dell’esaltare e un minuto dopo deprimere) si era creato un dibattito vero e proprio sull’utilità da parte della Società di spendere un discreto gruzzoletto per l’acquisto di un nuovo estremo difensore, data per scontata la partenza di Samir al termine del campionato.

Su un punto siamo tutti d’accordo: il ragazzo argentino è indifendibile, purtroppo. Però capita, giocando a pallone. Capita di sbagliare gol da tre metri, ma pochi se lo ricordano; capita di bucare il pallone a un passo dalla porta avversaria, ma pochi se lo ricordano. Perché, giustamente, quello che rimane stampato nella memoria è il passaggio regalato al Wolfsburg per il vantaggio biancoverde o il piazzamento da scapoli-ammogliati che origina il terzo sigillo avversario. Sì, insomma; i tedeschi, nemmeno loro sanno come, si trovano sopra di due senza di fatto aver costruito nulla. Solo e soltanto grazie a orrori preparati e confezionati dai nostri eroi. Però è colpa di Mancini.

Oh, intendiamoci: Roberto Mancini ha delle colpe, vere o presunte che siano. Io ad esempio non ho digerito il cambio Hernanes-Vidic. Lui lo ha giustificato spiegando che in quel momento aveva la necessità di alzare gli esterni, stanchi, e di conseguenza rafforzare la cerniera centrale. Per dare una maggior copertura nella nostra metà campo. Io credo che sì, Hernanes era effettivamente un pesce fuor d’acqua, ma lo avrei sostituito con un altro centrocampista. Fino a quel momento, a quella disgraziata decisione, eravamo tranquillamente in partita e non ho mai avuto la sensazione di poter essere messo sotto. Mai. Anzi, per dirla tutta ero convinto che avremmo potuto far male una seconda volta.

Ma io vedo la partita dalla poltrona, in salotto. Non sono a bordo campo, non respiro l’odore dell’erba, non sento quello che i giocatori dicono sul terreno di gioco, non ascolto i dialoghi atleta-panchina. E così, da una buona prestazione, si è arrivati a un processo mediatico che mi fa sorridere. Ridere sarebbe troppo. Sulle capacità vere o presunte di Mancini, sulle solite patetiche tabelle senza senso (ripeto, se vogliamo fare le tabelle facciamole pure ma nel rispetto delle tempistiche, altrimenti il valore che gli assegno è pari a zero), sul… ma hanno speso a gennaio e i risultati dove sono; sul... questa è quella che preferisco, non c’è un gioco. Non c’è un gioco? Mah. Credo che chiunque affermi ciò sia stato assente dal territorio italiano nel periodo agosto-novembre 2014. Il gioco si vede, a sprazzi.

Forse la classifica piange, e questo è un dato incontrovertibile; e piange per il non gioco? O piange, piuttosto, per le dormite generali in campo? Per la siesta sul calcio d’angolo del Toro al minuto novantaquattro, per l’uscita non uscita con buco centrale difensivo annesso gentilmente offerta alla Viola? Ci sarebbe da fare una lista lunga più di quella della spesa del sabato al supermercato, se pensiamo agli errori a cui siamo settimanalmente costretti ad assistere in maniera passiva. Altro che problemi di gioco. Forse in panchina non avremo Mago Merlino. Ma, di certo, nemmeno l’apprendista stregone. Siamo tifosi interisti. Amore e passione. E l’Inter è così. Dolcemente complicata, come canta Fiorella Mannoia. Non esistono vie di mezzo. Amatela. Buona domenica


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