L'errore di fondo
Qualcuno si sta già abituando all’idea, altri se la prendono alla sola evocazione, come se ruggire allontanasse la sola ipotesi di Lautaro Martinez al Barcellona.
Il tam tam dell’attaccante argentino corteggiato platealmente dalla squadra di Messi, ha dei giorni in cui l’accordo sembra scontato e altri in cui sembra vivere una pausa di riflessione. Da come è stata presentata la notizia per giorni l’Inter dovrebbe solo scegliere se trattenere ad ogni costo il giocatore o cederlo e rinforzare la squadra con un paio di giocatori del Barcellona, più soldi.
L’ultimo capitolo tra gli infiniti che vedremo nei prossimi tempi, registra un’indisposizione da parte del club catalano a versare 111 milioni in un'unica soluzione e l’Inter che non accetta contropartite tecniche. Il risultato è uno stallo inevitabile.
Ha parlato persino Arthur, indicato per giorni come possibile indiziato tra i giocatori sacrificabili dei blaugrana, chiudendo parzialmente all’eventualità, pur evidenziando educatamente di essere lusingato.
A prescindere da come andrà a finire questa faccenda, se la strada porta alla cessione “inevitabile” o alla volontà di trattenere Lautaro Martinez, io sono decisamente per la seconda ipotesi, resta però da chiarire un punto non indifferente, nel caso un giorno riprenda il Campionato
Durante questa sosta forzata infatti, gli enormi disagi di ogni club del mondo, dovuti all’impossibilità di incassare e dunque pagare gli stipendi, sembravano aver allontanato la possibilità di grandi cessioni e acquisti nel prossimo mercato.
Marotta aveva dichiarato che la prossima campagna acquisti, a livello mondiale, sarebbe stata basata solo su scambi e prestiti, magari qualche ingaggio a prezzi bassi.
Perciò l’Inter è possibile che abbia in mente una rivoluzione tecnica che preveda la disponibilità ad un sacrificio per rinforzare la rosa. Questa storia l’abbiamo già sentita altre volte e non è andata esattamente bene. L’Inter nella storia ha vinto quando ha investito e avuto uno o due uomini al comando.
Il ragionamento parte anche dal presupposto che raramente l’Inter nella sua storia ha avuto la forza o la capacità di conservare e trattenere le sue bandiere o in alcuni casi i giocatori più promettenti.
L. Martinez non è più una promessa ma non è ancora una bandiera.
L’Inter fin dai tempi di Meazza, ceduto al Milan (all’epoca denominato Milano) dopo un infortunio, talvolta si sbarazza dei suoi totem con una disinvoltura insopportabile.
Penso anche a Boninsegna, ceduto alla Juventus, con il giocatore incredulo per la scelta, a Cuper preferito a Ronaldo che voleva l’esonero del tecnico e venduto al Real Madrid, al cattivo rapporto tra Moratti e un Bergomi che non è più stato reintegrato nella società, mentre per Icardi, che aspira a tornare nell’Inter, per quanto incredibile, si è creata una situazione complessa di cui il club non sembra avere colpe.
L’Inter spesso fatica a mantenere un rapporto prolungato con giocatori, i quali restano punti di riferimento per un periodo delimitato o vengono ceduti per una cronica ambiguità nella valorizzazione del proprio valore.
Parlo di un club storicamente grande, non uno costretto a cedere i suoi pezzi pregiati per mancanza di liquidità, come è accaduto tra il 2012 e il 2018.
La raffigurazione vivente dell’orgoglio di un club come l’Inter, che aspira a diventare stabilmente uno dei club più importanti e ricchi al mondo, avrebbe in Lautaro il simbolo di una rinascita che lentamente ma inesorabilmente sta portando il club a raggiungere un livello ancora lontano.
Non è perciò solo una questione di convenienza economica, ovvero la possibilità di migliorare la rosa con i soldi presi dalla cessione, ma un elemento culturale, un senso di appartenenza che da anni l’Inter fatica a trovare.
Sesi continua a cedere il meglio, con la giustificazione che è il giocatore a volersene andare, si trasmette l’idea di una società forte ma non fortissima, solida ma non al livello dei suoi competitor, i quali cedono i giocatori forti solo per una volontà tecnica.
Nonè il caso di Lautaro Martinez. La fiducia in Marotta (e Conte) non manca ma spesso si cerca di esportare un modello tecnico da un club all’altro come fosse applicabile parimenti. Qui si è addirittura tentato di apportare un upgrade culturale, sottraendo persino “Pazza Inter” per aggiungere una mentalità più vincente e continua. Il mondo è lastricato di buone intenzioni ma Marotta nel costruire la prossima Inter che sarà senz’altro più forte non dimentichi che non tutto quello che viene fatto alla Juventus, al Milan, al Napoli o altre può essere ripetuto anche all’Inter, trascurando la componente ambientale e culturale di un club. La storia di una società entra anche nelle scelte del presente.
Amala.
VIDEO - ACCADDE OGGI - 20/04/2010 - IL CAPOLAVORO DI MOU: INTER-BARCELLONA 3-1