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L'Inter che ti aspetti. Purtroppo

di Lapo De Carlo

In genere se l’Inter pareggia una partita giocando male, malissimo, per settanta minuti, passando anche in vantaggio e venendo raggiunta dagli avversari, c’è un manuale di istruzioni, un prontuario per scrivere le quattro o cinque cose che non funzionano mai. Ho detto scherzando ma fino ad un certo punto che da quarant’anni ho la sensazione di vedere la stessa partita dell’Inter, con qualche variazione. E’ come se lo spartito non cambiasse mai, a parte qualche grande stagione. Ripeto fino allo sfinimento che questa squadra non può giocare bene, ergo in modo spettacolare per caratteristiche dei giocatori, ma può e deve trovare rapidamente l’organizzazione di gioco. Una cosa verso la quale l’Inter, in queste prime uscite, ha fatto un passo avanti e uno indietro. 

Il primo imputato è obbligatoriamente Mancini per eccesso di prudenza nel preparare la gara, identità di squadra ancora sperduto e rendimento di alcuni giocatori sotto traccia, causa impiego tattico ancora inadeguato. Eppure la cosa che fa più orrore è l’incredibile, atavica incapacità nerazzurra di aggredire dal primo minuto gli avversari. In ogni partita l’Inter guarda cosa succede, giochicchia in orizzontale e assiste colpevolmente al consueto pressing che subisce. I passaggi, come in epoca mazzarriana, sono lentissimi e prevedibili e i costruttori di gioco non esistono. Vedere l’Inter col Palermo è stata una sofferenza causata da un piglio compassato, accademico che veniva messo in pratica, in aperto contrasto con l’aspettativa di una squadra da piani alti che ha l’obbligo di cambiare passo, di alzare e abbassare il ritmo a piacimento.

Questo invece non accade mai e ho rivisto di nuovo una squadra deambulante, priva di fame, imborghesita da una settimana senza polemiche, con dichiarazioni piatte, in un ambiente che pare del tutto ingiustificatamente appagato.
Se uno dei giocatori scesi in campo leggesse queste righe probabilmente riuscirebbe anche ad arrabbiarsi, ma mai quanto chi ha li ha visti aggirarsi all’interno del Renzo Barbera con quell’incedere indolente, quasi balotelliano. Sono stanco di vedere Inter che, con quasi ogni allenatore, giocano partite anonime ma se ad oggi i capitani sono lo spento Icardi prima e l’irritante Guarin poi, ti accorgi che il problema sta proprio nel fatto che non ci sono veri punti di riferimento.

Se l’Inter ha giocato meglio in dieci negli ultimi venti minuti non posso che dare la colpa ai giocatori. Dopo l’assurda espulsione di Murillo, causata da una simulazione di Vasquez (sono per la prova tv in questi casi), la squadra improvvisamente era come tarantolata. Il Palermo che in parità numerica metteva costantemente in ansia quest’Inter bolsa, improvvisamente era in difficoltà contro gli stessi giocatori meno uno, perché si erano messi a correre. Non esattamente un concetto strategico o una tattica studiata a tavolino.

Insisto su questo punto perché il bel gioco e la relativa organizzazione, i discorsi sull’allenatore di turno e la scontata incapacità della quale viene tacciato, si scontrano sempre con la realtà di squadre dal nerazzurro sbiadito, senza senso per la storia dell’Inter. Difficile dare giudizi individuali ma questa è una delle peggiori partite disputate da Icardi, incapace di tenere un pallone e di rendersi pericoloso. Guarin ha mostrato ancora una volta la sua straordinaria propensione alle giocate anarchiche. 90 minuti di partita personale in cui ha fatto i soliti numeri rovinati puntualmente dalla giocata successiva. Su tutte la discesa alla Berti in Bayern-Inter, nei minuti finali in cui ha fatto la scelta peggiore. Il talento per una grande squadra passa proprio da quello: l’intelligenza per governare l’istinto. E Guarin ha potenza, muscoli, esplosività ma gioca solo d’istinto. Solo quello. E il tifoso, me compreso, s’incazza. 

Alla fine l’Inter è prima ma martedì o domenica potrebbe pure essere quarta perché il vantaggio ottenuto nelle prime giornate è stato in parte dilapidato. So bene che non è possibile vincere lo scudetto ma questo è un anno in cui deve credere di poterlo vincere per poter raggiungere il terzo posto. 
Amala. 


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